A fatto compiuto, dopo aver ottenuto un qualunque risultato, soprattutto per una squadra blasonata come il Palermo, che deve risalire in fretta, la vittoria o il successo è l’unica cosa che conta.

Vincere sarà stato importante ma non è mai facile come sembra. Non lo è stato quest’anno per quanto così può esser sembrato, ma è stata l’unica cosa importante, contano quindi i risultati, i fatti.

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In questo nuovo orizzonte societario, i tifosi rosa-nero sono stati abituati anche ad una nuova strategia comunicativa totalmente diversa dalla precedente. Si lavora in silenzio. Forse troppo. Abituati all’era del vulcanico Zamparini, questo silenzio è quasi snervante ed alimenta qualche paura.

E allora cosa bolle in pentola in questa società? Forse nulla, semplicemente una diversa comunicazione tifosi-società. Dopo i trascorsi subiti, e le tante parole buttate, si è pensato bene di non buttare parole al vento e di parlare quando fosse stato necessario farlo.

Il problema è un altro: il tifoso del Palermo ha bisogno di sapere, ha bisogno di rassicurazioni, ha bisogno di chiarezza. E soprattutto di quella trasparenza che è sempre stata alla base del progetto portato avanti da Mirri. I tifosi comprendono il momento difficile ed esclusivo, ma forse questa eccessiva prudenza non è giustificata.

Se le parole hanno la loro importanza, a quelle si aggrappano i tifosi. A quelle poche suggellate dai protagonisti della società. Pronunciate e che pesano come un macigno. Forse alle parole bisogna fare attenzione, se per il momento ai fatti non si può dar seguito.

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La tifoseria ha fiducia nella società, lo hanno dimostrato le iniziative portate avanti come la rinuncia al rimborso degli abbonamenti. Adesso è il momento di agire, forse in società si attende una data, la fine di tutti i campionati, l’iscrizione al campionato di serie C’?

Il Palermo è rinato con l’entusiasmo dei tifosi, che si prosegua su questa lunghezza d’onda.

Chissà che il restaurarsi di un rapporto comunicativo sano non possa essere la soluzione. Diceva Jón Kalman Stefánsson:  “Le parole possono essere proiettili, ma possono anche essere squadre di soccorso”.

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