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Come si può spiegare ad un piccolo bimbo l’astratto concetto dell’ansia? Come se, effettivamente, questo stato d’animo fosse una prerogativa per il mondo adulto. Eppure da piccoli ci insegnano che gli occhi, quelli, non mentono mai. Gli occhi, racchiusi in un arco di tempo ristretto, che hanno un solo universo da dover osservare.

È il Barbera, è pieno come non lo è da anni. Il Palermo sembra rischiare inspiegabilmente l’eliminazione. Mancano pochi minuti e tutto è in fibrillante attesa. Sono i momenti in cui non c’è spazio per nulla, minuti in cui – chi veramente il calcio lo ama – pensa possano cambiare la vita. E si attende in fibrillazione, muovendo gambe, mani, dita. Ma gli occhi stanno lì, fermi. Lo sguardo non può e non deve distogliersi. Il calcio, d’altronde, come la vita, in mancanza di immaginazione, è uno spettacolo mortale. Immagini i giorni difficili e faticosi che forse dureranno per sempre. Anche se poi, sotto sotto, sai che non è così.

Ma ci sono attimi, in queste partite, in cui a volte forse osservare questi occhi, di questi bambini, varrebbe il prezzo intero del biglietto. Quando si è piccoli si amano le cose senza chiedersi troppo il perché. E si è spensierati. Questo significa essere piccoli: avere il vantaggio di potersi stupire e imparare. E osservare. E ai bambini, tifosi e appassionati del calcio, compete soltanto essere questo. Nient’altro. Ed è tutto così preziosamente autentico da far invidia. È uno stare al mondo diverso: né meglio, né peggio, fare solo una scorpacciata di bellezza.

Ed è anche per questo che i ragazzi di mister Baldini hanno una responsabilità più grossa: far tornare gli occhi pieni di gioia, per il Palermo, a una generazione che tende ad allontanarsi dal rosa e il nero. Tutto il resto è marginale. E possono farlo seguendo dei binari che negli ultimi mesi hanno seguito con orgoglio, dignità e compattezza. Poi, però, la paura di giovedì sera. Che terrorizza il sognatore, ma che può cambiare il destino delle cose. Ritornare a gioire per i colori della propria città, per un amore che non avrà mai fine. Perché amare il Palermo, vuol dire anche soffrire. Perché non si può insegnare l’amore per questi colori: va vissuto. Perché alla fine questo resta. Il sogno, ancora, non è terminato. Un attimo ancora, che ci siamo.

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