strade rosanero

“Strade Rosanero”

Il protagonista del mese:

Agostino Pernice, quasi mezzo secolo di fede rosanero che scorre nel suo sangue, abbonato di gradinata e trasferito a Roma da 25 anni durante i quali ha raggiunto tanti traguardi professionali e personali ( due lauree, una in giurisprudenza e l’altra in scienze filosofiche). Precisa con grande orgoglio ed emozione che  “Custodisco gelosamente e con orgoglio i miei abbonamenti di curva nord dei tempi del liceo (furono i regali che chiedevo ai miei genitori per le promozioni) e quello della dolorosa serie D dell’era Mirri”.

Agostino, nel corso della sua intervista, ci abbraccia e ci accompagna in una cavalcata emozionante aprendo sinceramente il suo cuore che brulica di ricordi e aneddoti.

Con grande piacere e davvero tanta emozione iniziamo questa nostra nuova avventura che ci permetterà di attraversare le emozioni e i ricordi dei nostri tifosi rosanero fuori sede. Buona lettura a tutti.

Ognuno percorre la sua strada, ma a tinte rosanero è senz’altro più bella!

Gaetano Armao

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  1. Se ti dico Palermo cosa mi rispondi?

Appartenenza.

Basterebbe questo solo sostantivo per tenere insieme la miscela esplosiva dei sentimenti contrastanti che mi legano alla città e alla squadra: nec tecum, ne sine te vivere possum (non posso vivere con te, né senza di te) recita un latinetto che mi calza a pennello.

Da buon emigrato volontario (mi ero stufato di lavorare in una banca siciliana), non riesco a non vedere tutti i grandi, talvolta insopportabili, difetti della città e dei suoi abitanti (Palermo città irredimibile, scriveva Sciascia) e spesso, appena metto piede in città, non vedo l’ora di scappare. Ma quando torno “in continente” si mette all’opera, impietosamente puntuale, una sorta di “richiamo della foresta” che mi fa desiderare di rituffarmi il prima possibile nel caos primordiale e insensato della mia città: ecco forse cosa intendo per “appartenenza”, quel vincolo profondo che ti costringe, anche se non vuoi, a dei continui nostoi per ritornare all’origine di tutto.

Alla fine, ci fai i conti: fuggire veramente da Palermo sarebbe come fuggire da se stessi, un autentico ossimoro esistenziale.

Per questo, quindi, il turchese del mare di Mondello, l’inesorabile oleosità “ru pani ca meusa”, i picchi glicemici di cannoli e cassate, l’alba al Foro Italico e i tramonti dal balcone della casa dei miei.

E poi, a stagliarsi su tutto, il profilo imperiale del Barbera, eletto a casa spirituale, a tempio laico, a Mecca occidentale di una fede inesausta e inesauribile, anzi crescente, fatta di amore e di follia, dosata, da chissà chi e chissà dove, in percentuali variabili.

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  1. Dove ti ha portato il rosanero?

Ero a Trapani nel 1987 per la prima partita di Coppa Italia della stagione della rinascita, dopo la prima radiazione, e a Marsala, il 1’ settembre del 2019, per la prima di campionato tra i dilettanti.
A 12 anni fui spettatore della prima “bicicletta” di Vito-gol a Palermo, a 13 feci la prima trasferta della mia vita a Lecce e a 14 al San Paolo per la finale maledetta con la Juventus. Ovviamente ero al Barbera il giorno della promozione nel 2004, a Novara in quella del 2014, tra i 40.000 dell’Olimpico nel 2011 e a Padova nel 2022.
Ma non dimentico le 22 ore di treno per arrivare a Monza dove perdemmo la finale di Coppa Italia di C e l’altra delusione contro la Lucchese. E finalmente la vittoria in finale contro il Como!

Ho visto giocare il Palermo in tantissimi campi, da Ischia, Salò, Giarre, Chiavari, Casarano, fino a Barcellona in Spagna e a Londra.
Ho visto le ultime 5 partite in casa e la trasferta di Cremona.
Sarò ancora a Palermo per il Venezia.

Il mio unico pensiero di tifoso è già alla prima trasferta a Napoli o a Firenze del prossimo agosto…credo ciecamente nella nuova Proprietà, nella squadra e nella sua guida tecnica, con buona pace dei “CoriniOut”.

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  1. La tua partita del cuore?

Difficile, al limite dell’impossibile, individuarne una sola. Dovrei dire della prima al Barbera, quando avevo 8 anni, che ricordo come fosse ieri, fatta eccezione che per l’avversaria di turno: il catino della Favorita splendente sotto il sole invernale e stracolmo di un muro variopinto di persone vocianti, ancora speranzose di ottenere una impossibile salvezza in serie A. Quell’emozione la ricordo ancora e credo sia qualcosa di simile a ciò che provo immancabilmente quando mi avvicino allo stadio prima di ogni partita.

Ma poi dovrei citare la prima trasferta a Catania, un meraviglioso 3 a 3 strappato nei minuti di recupero sotto il diluvio universale: al 3-1 per i locali replicarono Egidio Calloni al 77’ su rigore e Claudio Bencina al 92’ con un gol nato da una mischia d’altri tempi dentro a qualcosa di più simile ad un girone infernale che ad un’area di rigore: cielo nero, ormai più che al crepuscolo, riflettori spenti o forse inesistenti, alle 16,20 circa nel solstizio invernale dell’anno 1980, maglie dello stesso color fango: capii del gol solo vedendo, dalla curva opposta, la rete della porta etnea scossa dalla palla e tante braccia in campo alzarsi per l’esultanza. Mio padre, ignaro del pericolo, mi aveva portato sin lì in mezzo ai tifosi avversari e non riuscendo a trattenere la mia incosciente esultanza, mi tirò per un braccio e andammo via di corsa.

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E poi ancora l’Upton Park di Londra, con l’airone Caracciolo a fare a fette i giovanissimi Mascherano e Tevez esordienti nel West Ham, quella sera del 14 settembre 2006: ricordo ancora una parata miracolosa, sotto i miei occhi, di Jimmy Fontana su un tiro di Tevez a botta sicura e la felicità bruscamente interrotta da un pessimo fuori programma dentro la metro londinese, con gli hooligans inglesi a bloccare il convoglio, seminando il terrore tra i tanti palermitani presenti, tra i quali lo stesso Mirri. La scena madre di quella sera: il compianto Rambo, matto come “un cavallo” ma quella sera lucidissimo nel non reagire alle provocazioni, alla fine del brutto quarto d’ora, abbracciò teneramente un ragazzino con la maglia del West Ham in lacrime, anch’egli terrorizzato.

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  1. Il tuo giocatore del cuore?

Domanda spietata, ma la risposta è secca e decisa: alla mia età, per quanto possa illudermi di essere un eterno “picciuttieddu”, la nostalgia per il passato che non può tornare tende a prevalere sulla speranza di un futuro luminoso che, comunque, questa Proprietà ci garantirà molto presto.

Per questa ragione, questa domanda mi strattona inevitabilmente nella direzione dei miei 12 anni, quando in un rovente pomeriggio estivo, in un calcio di un’era geologica fa, faceva il suo esordio con doppietta un uomo che tutto sembrava fuorché un atleta.

L’esordio di Vito Chimenti a Palermo resta una indimenticabile perla incastonata nel pezzo di cielo che protegge il rettangolo verde di 112×73 metri di via del Fante.

Ancora oggi, la sua prima bicicletta è di gran lunga la più grande magia materializzatasi dentro la Favorita, quel coniglio che sorprende tutti saltando fuori dal cilindro dell’illusionista, stampando per qualche istante sul volto di chiunque, persino del più navigato dei cinici, l’espressione della istantanea sorpresa e della felicità incontenibile.

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  1. Esprimi un desiderio, ce lo racconti?

Rimango su Vito-gol e alla sua bicicletta: quel gesto tecnico, quel momento apotropaico, quella reazione imprevista e imprevedibile, sono per me la metafora di una speranza impossibile, la speranza che anche una città fondata sul proprio scetticismo, incapace per suo statuto di slanci ideali, dove il pessimismo del “tanto ‘un cancia nienti” di gattopardiana memoria fa da alibi per la sua inconcludenza, possa magari tornare, un giorno, a sognare in grande senza il terrore di venire additata come una povera illusa.

E allora, il mio desiderio assume questi contorni: che il tradizionale saluto di tutti coloro che amano il rosa e il nero dei nostri colori possa presto trasformarsi in un “Forza il  Palermo sempre e forza Palermo!”.

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