L’ex attaccante di Sampdoria e Juve racconta la sua battaglia contro il tumore: “Adesso sto bene, ma certe cose hanno la tendenza a tornare. Il calcio? Può dare sollievo nonostante il Coronavirus”

Questo il titolo di un articolo sull’edizione online del Corriere dello Sport.

Lunga intervista del quotidiano britannico “Guardian” con l’ex giocatore di Sampdoria e Juve, nonchè della Nazionale. Dopo un lungo periodo di assenza per la sua malattia con cui continua ogni giorno a combattere, Vialli oggi è membro dello staff della Nazionale di Mancini.
Vi riportiamo alcuni passaggi dell’intervista:
Ti senti come se stessi deludendo qualcuno, come i tuoi genitori. Perché non vuoi che i tuoi genitori ti vedano mentre soffri… Non volevo sembrare un povero ragazzo malato. E’ anche un peso. La gente ti chiamerà per dimostrarti che ti pensa, ma anziché passare del tempo al telefono avevo bisogno di tempo per me stesso. E il giorno in cui cominci a vedere le cose diversamente, la tua vita cambia. Adesso mostro le mie paure con orgoglio, sono il simbolo di quello che ho passato. Adesso capisco che quando voglio piangere, piango, senza vergogna. Cerco di non piangere davanti alle persone molto emotive, di farlo quando sono da solo.

Ma se mi trovo in un posto dove sono a mio agio, non trattengo niente dentro. Mi lascio andare e poi mi sento meglio… piangevo perché avevo paura dell’ignoto, non sapevo se sarei stato bene o no. Non ho mai pensato di dover combattere il cancro, perché sarebbe stato un nemico troppo grande e potente. L’ho presa come un viaggio con un compagno indesiderato nella speranza che si annoiasse e morisse prima di me.

Sfortunatamente queste cose hanno la tendenza a tornare. Ma al momento sto bene e spero continui a essere così finché morirò di vecchiaia. 

In tempo di lutto, e quando passi situazioni difficili come queste, alcuni psicologi dicono che dovremmo provare a fare le cose che ci danno piacere senza sentirci in colpa. Per cui il calcio può essere uno strumento per dare alle persone un po’ di sollievo.

Se fossi ancora un calciatore, probabilmente troverei difficile concentrarmi sul calcio perché c’è ancora gente che muore…

Sono felice di essere finito a lavorare col mio migliore amico. E’ grandioso poter aiutare Roberto…”.

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