Umberto Saba pseudonimo di Umberto Poli, è tra i letterati del Novecento che si appassionarono al calcio. Incontrò questo sport per la prima volta accompagnando la figlia allo stadio a vedere la squadra locale, la Triestina,  poiché aveva ricevuto casualmente i biglietti in omaggio. Fino a quel momento l’assenza, il dissidio. Il poeta triestino non era mai stato coinvolto dal gioco del calcio e, soprattutto, non era mai riuscito a comprendere fino in fondo l’entusiasmo dei tifosi, ma da quel giorno per lui tutto cambiò e nella “Storia e cronistoria del Canzoniere”,  una sorta di autobiografia scritta in terza persona, disse:

“E’(il gioco) più popolare che ci sia oggi, ed è quello in cui si esprimono con più appassionata evidenza le passioni elementari della folla. L’atmosfera che si forma intorno a quegli undici fratelli che difendono la madre è il più delle volte così accesa da lasciare incancellabili impronte in chi ci è vissuto dentro. E questo per non parlare della bellezza
visiva dello spettacolo, dei gesti necessari dei giocatori durante lo svolgimento della gara. Che dire poi di quello che succede tra il pubblico e i giocatori quando una squadra paesana riesce a segnare un goal contro una squadra superiore (la cui superiorità molte volte è dovuta a denaro) e rinnova, sotto gli occhi dei concittadini, lucenti alle lacrime, il miracolo di Davide che vince il gigante Golia?”

‘’Correvano sue e giù le maglie rosse,
le maglie bianche, in una luce d’una
strana iridata trasparenza. Il vento
deviava il pallone, la Fortuna…’’.

Se volessimo sforzarci di Inquadrare sotto un profilo storico della poesia del Novecento la produzione di Umberto Saba il tutto risulterebbe estremamente difficile sia perché ci troviamo davanti ad una produzione e ad una attività poetica che copre circa mezzo secolo, sia perché il poeta si mantenne sempre estraneo alle correnti dominanti.

La poetica dello scrittore triestino era intrinseca alla sua personalità. Saba dichiarava sempre, in modo lapidario, che tipo di poesia dovesse essere scritta, cioè una poesia capace di esprimere con sincerità e senza esagerazioni la condizione esistenziale dell’uomo al fine di rappresentare la realtà quotidiana e non la realtà straordinaria.  

Il calcio è cambiato. E questo lo sappiamo, bisogna ormai farsene una ragione. Forse si conoscono o forse no le motivazioni spazio-temporali di questa trasformazione ma, soprattutto  in Italia, il calcio, ha perso il suo spirito di “gioco”. Eppure molti italiani rimangono ancorati al suo fascino, non importa che si susseguano scandali che coinvolgano lo sport più bello del mondo. L’amore dell’italiano per il calcio non si scalfisce, un autentico amore Catulliano permane sempre. Doveva di certo pensarla così Umberto Saba che nella sua raccolta più sperimentale, Parole [1933-34] inserita poi nella sezione del Canzoniere mise “Cinque poesie dedicate al gioco del calcio”. La scelta dell’argomento è davvero rivoluzionaria, soprattutto per un poeta spesso snobbato dagli studiosi del tempo, saccenti, che lo criticarono di far poesia semplice. C’è da dire, però, che Saba non era affatto un cultore del calcio prima di andare a vedere (per caso) la Triestina. Eppure quell’unica volta fu fondamentale per la stesura delle cinque poesie sul calcio.

Come può un uomo non appassionato di uno sport scriverne delle poesie? Perché il calcio sa essere coinvolgente: “Trepido seguo il vostro gioco. Ignari esprimete con quello antiche cose meravigliose”. Gli sono bastati 90’ per capire la forza di questo sport. Il calcio è capace di esprimere delle meraviglie autentiche, genuine, epiche. 

‘’…Ignari
esprimete con quello antiche cose

meravigliose
sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari
soli d’inverno.
Le angoscie
che imbiancano i capelli all’improvviso,
sono da voi così lontane! La gloria
vi dà un sorriso
fugace: il meglio onde disponga…’’

Il Poeta triestino si divide tra gioia e dolore, solitudine e condivisione. Proprio come la sofferenza, ad esempio, del portiere battuto sta tutta rinchiusa all’interno, in una sofferenza incondivisibile ed inconsolabile, nonostante la mano del compagno che lo smuove e “scopre pieni di lacrime i suoi occhi”. Fa da contraltare il portiere avversario, festante per la segnatura e desideroso di gioire insieme ai compagni ed alla folla esultante, “Della festa – egli dice – anch’io son parte”. Soli nella tristezza ed in compagnia nei momenti di gloria, metafora non solo del calcio antico e moderno, ma forse di tutta l’esistenza.

Umberto Saba della giovinezza esalta e rimpiange l’incoscienza che consente di vivere con intensità l’esistenza: “ignari, esprimete con quello antiche cose, meravigliose”.

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