di Benvenuto Caminiti

“… Insomma, chiunque ne abbia voglia non ha che da procurarsi una piccola calcolatrice e premere i tasti: avrà la conferma, papale papale, che il deficit del Palermo… supera i due miliardi… Creditore è anche il personale impiegatizio, creditori sono i giocatori, i quali – a quanto pare – non volevano partire per Bari perché senza stipendio da cinque mesi!…”.

(Salvatore Taormina, “Palermogol”, dicembre 1977).

Addio, Salvatore, amico mio del cuore, te ne sei volato in cielo ieri pomeriggio, senza avere avuto il tempo di coronare il nostro sogno: quello di poterci riabbracciare, dopo più di trent’anni, da quando, cioè, lasciasti Palermo e il Giornale di Sicilia per cambiare la tua vita e vivere anche tu  il leggendario “American dream”. 

In questi ultimi trent’anni, tu a New York, io a Palermo, siamo sempre rimasti vicini perché questi sono tempi in cui si azzerano anche le distanze galattiche: basta una telefonata internazionale,  basta internet… E – voila – ci raccontiamo giorno per giorno la vita nostra.

 E con Skype ci guardiamo pure in faccia e ci scherziamo su: “Mi… chi sì fattu viecchiu!”. 

 Io sempre malinconico, tu sempre positivo; io, attratto più dal volto scuro della vita, tu, da quello solare. Amici per la pelle perché diversi, perché complementari: quello che manca all’uno ce l’ha l’altro, e viceversa.

Ed eri capace, quando leggevi qualche mio post intriso di decadente pessimismo, di telefonarmi e prendermi a parolacce: “Ma che c… o scrivi? Guarda che io sono capace di salire  sul primo aereo per venire a Palermo e prenderti a calci in culo… Devi finirla con questi piagnistei!…”.

Ci conoscevamo da sempre io e Tu, ma erano incontri di lavoro occasionali, poi tu fondasti “Palermogol”, mensile dedicato al nostro amato Palermo e mi chiamasti a collaborare. E fosti subito chiaro e diretto come sempre: “ Benni, non c’è una lira ma ho bisogno di te, della tua passione, della tua capacità di trasmettere un soffio di poesia a questo nostro Palermo che va navigando in acque sempre più turbolente!”. 

E io accettai di slancio, consapevole com’ero che avrei avuto tutta la libertà di sfogare tutta la mia passione e metterla a disposizione dei lettori e, ancor di più, dei tifosi, quelli veri, quelli non “strisciati”, che già allora stavano fagocitando il pianeta rosanero (“…A quanto pare,  i giocatori non volevano partire per Bari perché senza stipendio da cinque mesi…”).

E già allora, fine anni settanta, la società rosanero navigava in brutte acque che la tua penna denunciava senza tremori, cosa che, magari, nel Giornale di Sicilia, non potevi fare con totale libertà.

Che tempi erano quelli, caro Totò: stipendi arretrati, bilancio in rosso, speranze di promozione in A sempre più pallide ma inossidabile passione rosanero che consentiva, partita dopo partita, di avere la “Favorita” stracolma e un tifo strepitoso che faceva paura all’avversario.

Poi  la tua decisione di lasciare il giornale di Sicilia e cambiare radicalmente vita. 

Ricordi? Con la scusa di portarti il “pezzo” per “Palermogol” venni a trovarti a casa e scoprii che stavi molto male. Annamaria fu dolce e apprensiva, ad un tempo e lasciò capire più che spiegare.

Poi la distanza oceanica e il silenzio, quasi tombale… 

Per anni, finché non ci ritrovammo su Facebook, e fu come vivere una seconda volta la nostra grande amicizia.

Gli sfottò via cavo interoceanico, i tuoi rimproveri come scudisciate, le tue risate gorgoglianti, la tua inesausta voglia di vivere. Per mesi, per anni, due, tre volte a settimana, come appuntamenti fissi, che ci davano l’illusione (cosa saremmo, senza?) di tornare quelli dei tempi belli di “Palermogol”, dei tuoi elogi per il mio ultimo pezzo, delle tue telefonate chilometriche per spiegarmi, mese dopo mese, il senso del tuo editoriale. Insomma, la vita rosa della nostra giovinezza che stendeva un velo grigio sulle pene e liberava un cielo azzurro sui nostri sogni.

Poi, all’improvviso, una mattina, appena sveglio quel tonfo in camera da letto. 

E da quel giorno ho seguito la tua straziante agonia nei racconti al telefono di Annamaria, la tua impareggiabile  compagna di vita, che insieme ai vostri quattro figli, ha seguito ogni passaggio della tua malattia, ha pianto tutte le lacrime del mondo senza mai fermarsi un istante, senza mai rassegnarsi al peggio.

E me ne parlava al telefono con una forza e un’energia che solo l’AMORE GRANDE per l’uomo della vita può trasmettere. E, visto come sono fragile io, alla fine era sempre lei che dava coraggio a me, anzi che – come avrebbe dovuto essere – io a lei.

Da venerdì non rispondeva più alle mie chiamate interoceaniche e, subito, ho avuto il presentimento dell’irreparabile… Fino ad ieri e alla notizia, datami da Tani (il secondogenito dei figli)  con queste parole: “Alle 10,30 papà è volato in Cielo… Prega per Lui”.

Lo sto facendo da mesi, da quel mattino d’aprile di quest’anno, da quel tonfo in camera da letto…

Benvenuto Caminiti

4 Commenti

  1. Quando la poesia ed il giornalismo si uniscono esce fuori Benvenuto Caminiti. Complimenti Benni, articolo bellissimo. Grazie

    • Grazie, Carlo. Tu sei troppo buono con me e il bene che mi vuoi ti suggerisce elogi che forse non merito. Comunquem, grazie: è bello avere amici come te. Un abbraccio.

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