Amauri

Carvalho de Oliveira, noto più comunemente come Amauri, è uno degli attaccanti più amati dal tifo rosanero. Per lui con la maglia del Palermo 23 gol in 57 partite che lo hanno consacrato come un grande centravanti di Serie A, con il trasferimento alla Juventus nell’estate del 2008.

Ai microfoni di Tuttomercatoweb ha concesso una lunga intervista, trattando diversi temi: dal suo arrivo in Italia, alla sua lunga militanza nel campionato italiano.

Ecco le parole di Amauri:

La tua carriera è stata un continuo crescendo. Quale è stata la svolta?
“Ogni fase vissuta è stata importante. Io sono arrivato in Italia da sconosciuto, non avevo mai fatto parte della nazionale né da selezioni giovanili. Ho avuto i miei 2-3 anni di ambientamento per capire come funziona il calcio italiano. Certo, ci sono stati momenti chiave: direi che è stato decisivo il periodo dal 2005 in poi: se non facevo bene al Chievo rischiavo di non fare il salto di qualità. Lì è stata la prima svolta, che mi ha portato a Palermo. I due anni in Sicilia sono stati decisivi per il salto alla Juve, il sogno di tutti i calciatori”.

Su Edinson Cavani:
L’ho conosciuto nel 2005 quando si presentò al Chievo, dove io giocavo, con altri due uruguayani per un provino. Dei tre lui era quello con più qualità ma alla fine fu scartato ed è rientrato in Uruguay. Un anno ero a Palermo e quando mi sono infortunato al ginocchio c’era bisogno di qualcuno che mi rimpiazzasse. Rino Foschi venne a trovarmi e mi disse: voglio prendere un tuo sostituto e ho due nomi che sono Matusiak ed Cavani. Non ci ho pensato due volte a suggerirgli Edinson. Foschi per sicurezza prese entrambi (ride, ndr). Alla sua prima uscita Cavani fa un gran gol da fuori alla Fiorentina, Foschi mi guarda e mi fa: ‘Tu devi fare il direttore sportivo‘”.

Calcisticamente chi è stato il tuo maestro?
“Sono un ragazzo schietto ho avuto buoni rapporti con tutti. Ho acquisito quello che volevano loro e ho dato il massimo. Guidolin è stato molto importante, ma anche Pillon, Ranieri, Donadoni. Allenatori che mi hanno insegnato qualcosa e quello per me è stato molto gratificante. Tutt’ora ho rapporti con loro”.

Rimpianti?
“L’unico che ho è di non essermi fermato quando dovevo fermarmi. Alla Juve ho preso tanti fischi perché non stavo bene, stringevo i denti per giocare ma non stare bene. Dovevo fare come gli altri, stare fuori perché mi sono reso conto che è qualcosa di masochistico: oltre a stare male fisicamente la gente ti fischia e stai male moralmente. Ma per il resto ho conquistato tanti traguardi, portare ai preliminari di Champions una realtà di quartiere come il Chievo, arrivare in testa alla classifica col Palermo, giocare con la Juve, fare la Champions e arrivare in Nazionale. Magari potevo avere qualcosa in più ma sicuramente molto di meno”.

Giocatore più forte con cui hai giocato?
“Ne dico due: Miccoli e Alessandro Del Piero”.

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