
Buffon: “Uscii dalla depressione grazie alla pittura. Calciopoli? Vi dico”
In vista dell’uscita della sua biografia intitolata “Cadere rialzarsi, cadere, rialzarsi”, Gianluigi Buffon ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera in cui ha spaziato tra la carriera, la vita privata e i momenti più difficili che ha dovuto affrontare. In particolare si è soffermato sul periodo più buoi in cui dovette combattere con la depressione. Ecco di seguito alcuni estratti.
Le parole di Buffon
L’esordio con la maglia azzurra della Nazionale: “Non avevo ancora compiuto 15 anni. Fui convocato con la Under 16 per giocare a Edimburgo, contro la Scozia. Era la prima volta in uno stadio britannico: gli spalti in legno, tifo indiavolato, un muro di trentamila persone addosso. Nebbia. Ero in panchina. Si mise a nevicare. Prato tutto bianco. Il mister mi chiamò: “Buffon, tocca a te””.
L’ex portiere ha parlato anche di quello che è probabilmente il suo momento più complicato vissuto in carriera: “Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio”. Buffon prosegue parlando anche di un episodio accaduto in campo: “Un attacco di panico. Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita”.
“Mi dissi: “Gigi, se tu non entri in campo stavolta, crei un precedente con te stesso. Magari ti succederà una seconda volta, e poi un’altra ancora. E non potrai più giocare”. Così entrai in campo. Feci subito una buona parata. Che salvò il risultato, perché poi vincemmo 1-0. Ma il problema rimaneva. Il dottor Agricola fece la diagnosi, poi confermata dalla psicoterapeuta: depressione”. Il numero 1 della Nazionale però ebbe la forza di uscirne: “Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio. Fu allora che scoprii la pittura”.
Su Moggi e gli scudetti tolti: “Moggi era una persona simpatica e controversa, un dirigente che ha sempre avuto successo, un carismatico che teneva a distanza i calciatori ma li sapeva prendere. Calciopoli? Chi c’era sa che sul campo li abbiamo vinti noi. In un ambiente dove i puri che potevano scagliare la prima pietra erano pochissimi”.
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