Josip Ilicic

Josip Ilicic e l’ansia di non riuscire a farcela. Il giocatore sloveno, come già ben noto al grande pubblico sportivo, ha vissuto delle ultime stagioni tempestose a causa di difficoltà personali che l’hanno costretto ad allontanarsi dal campo per un periodo.

Lo sport è prestazione, agonismo, divertimento. Ma quando non ci si diverte più a giocare, e la prestazione diventa nient’altro che uno sforzo passivo da portare avanti fino al novantesimo, l’agonismo viene meno e l’atleta viene sovrastato da sentimenti negativi che gli impediscono di essere al meglio. Secondo una ricerca della rivista Frontiers in Psycology del 2017, riportata da Inchiostronline, almeno il 20% degli atleti soffre di depressione. Detta così, sembra una cifra minuscola, pressoché trascurabile. Ma se trasformiamo tale percentuale in numeri reali, ciò vuol dire che mediamente in una squadra di 25 giocatori, almeno 5 soffrono di problemi legati all’umore, allo stress e a un calo di serotonina nel corpo.

Ansia, stress e depressione. Josip Ilicic è solo l’ultimo caso

Quando la notizia dei problemi di depressione di Josip Ilicic è venuta a galla, gran parte degli sportivi – specialmente tra quelli delle ex squadre dello sloveno – si sono stretti attorno all’uomo, ancor prima che all’atleta. Il ragazzo, almeno a Palermo, non ha bisogno di presentazioni sotto l’aspetto umano, tanto meno per il lato tecnico. Malgrado ciò, però, è ancora largamente diffusa la convinzione che la vita di un’atleta debba essere sempre altamente performante, piena di lusso, gioie e soddisfazioni. Questa visione prettamente utilitaristica dell’atleta, che viene totalmente sventrato della sua natura umana, ha portato tante persone – ma non troppe, per fortuna – ad assumere un atteggiamento ostile nei confronti degli atleti che hanno deciso di urlare al mondo la propria sofferenza.

Uno degli ultimi casi maggiormente evidenziati a livello mediatico è quello dell’atleta americana Simone Biles. La ginnasta nel corso delle ultime Olimpiadi disputatesi a Tokyo ha rinunciato ad esibirsi in alcune specialità a causa di un blocco mentale che le impediva di esprimersi al meglio. Biles fin da giovanissima ha dovuto sostenere pressioni oltre quelle che una ragazza della sua età avrebbe dovuto. A soli 16 anni vince il primo Oro Mondiale, e da lì è stata una continua ascesa fino al 2021, anno in cui il Times la inserì per la seconda volta – dopo averlo già fatto nel 2017 – nella lista delle 100 persone più influenti al mondo.

La pressione, che qualora sia eccessiva può snaturarsi in depressione, è scarsamente compresa da un mondo legato al risultato e non alla prestazione psico-fisica degli atleti.

“Vincere non è importante: è l’unica cosa che conta”

Così affermava Boniperti, e questa frase è diventata un mantra per una delle squadre attualmente più titolate in Italia. Ma a questo punto bisogna fermarsi un attimo e chiedersi quanto conti la vittoria sportiva quando a perdere è l’uomo. E’ necessario domandarsi se la vittoria ad ogni costo, sopra ad ogni cosa e oltre qualsiasi sofferenza, riesca davvero a tirare fuori il meglio da ogni atleta.

Dietro ad ogni sportivo, esiste una persona con fragilità, dubbi, ansie e timori. Non siamo delle macchine perfette, capaci di mettere sempre e comunque i problemi da parte, perché talvolta i problemi sono più grandi di noi, ed è in questo caso che serve un sostegno professionale esterno. In questi momenti bisogna intervenire non soltanto consolando e abbracciando chi soffre, bensì garantendogli la massima discrezione richiesta e il doveroso supporto medico di cui bisogna.

Il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo depressivo, gli atteggiamenti ossessivi-compulsivi, i pensieri intrusivi, le psicosi, sono delle malattie gravi e debilitanti a tutti gli effetti, al pari di altre. Finché non saremo pronti ad accettare ciò, non potremo definirci una società sana, che vive lo sport per divertimento, con passione e agonismo. Ma soltanto dei machiavellici sostenitori di macchine sportive pronte a sacrificarsi in nome del risultato.

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1 commento

  1. Non centra nulla l’ansia di prestazione. Tutto è iniziato con lo scoppio della pandemia (lui viveva a Bergamo città devastata dal Covid) a causa della quale ha perso addirittura degli amici. Da qui’ tutte le sue paranoie.

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