Strage Via D’Amelio, trent’anni e nessuna giustizia per Paolo Borsellino

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Strage Via D’Amelio, trent’anni e nessuna giustizia per Paolo Borsellino

Siamo giunti nuovamente al giorno dell’anniversario della Strage di Via D’Amelio, il tempo passa e dopo trenta lunghi anni ancora nessuna giustizia è stata fatta.

Abbiamo una verità storica, quella della mafia che ha ucciso il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, ma dietro la parola mafia c’è un universo di misteri ed incognite ancora insoluti.

Materialmente mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Queste le parole che il giudice ha lasciato come un testamento da cui ripartire, parole che sembrano avere la presunzione di scagionare il mafioso per eccellenza. Un’altra concezione del crimine, probabilmente, era la grande scoperta a cui stava lavorando da mesi il giudice. In solitaria, sfiduciato e deluso dalle istituzioni, teneva per sé un segreto inconfessabile, condiviso, forse, con il suo unico amico fidato Giovanni Falcone, scomparso mesi prima nell’altra Strage, quella di Capaci. Da qui, l’idea di annotare ogni idea, pensiero o rivelazione in un’agenda di cui si sono perse le tracce subito dopo l’esplosione.

Molti i misteri irrisolti, molte le ipotesi e la storia tramandata risulta quasi un raccontino predefinito. Ma la questione è molto più complessa, la verità di un uomo solo ha ben altre ragioni per essere conosciuta. Bisogna conoscere la storia e porsi domande le cui risposte, forse, erano segnate in quella famigerata agenda rossa.

Abbiamo sentito parlare della trattativa Stato-Mafia e del crollo della Prima Repubblica, dando il via ad una Seconda. E, in effetti, un cambiamento è avvenuto. Il 1992 è l’anno di Tangentopoli, “Mani Pulite” e l’ascesa in politica di Silvio Berlusconi, che, con Marcello Dell’Utri, è stato più volte citato dal Boss Riina, come ‘soggetto da appoggiare ora e in futuro’. Quel supporto avrebbe giovato tutta Cosa Nostra.

Tra nomi importanti, sparizioni incomprensibili, prove occultate e alterati eventi, dopo trent‘anni ancora nessuno riesce a scovare quella verità che i familiari aspettano e che gli italiani vogliono leggere sui libri di storia.

Dunque, la morte di Paolo Borsellino risultava necessaria per dare il via ad un “elegante banditismo”; un’elevazione della criminalità meno “incretata” e più raffinata era alla base del cambiamento mafioso. Tuttavia, il sacrificio del giudice ha permesso di attuare la vera rivoluzione, ossia quella sociale. Infatti, da trent’anni, Palermo subisce l’influenza legittima che Falcone e Borsellino hanno perseguito. Da trent’anni, Palermo si è scrollata di dosso la nomea di città mafiosa.

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