Scusatemi figli miei ma voglio morire, mamma“, i messaggi lasciati sulla Settimana enigmistica dai pazienti Covid prima dell’addio.
Per bucare l’isolamento del reparto Covid i pazienti in fin di vita inviano testimonianze in ogni modo. Anche con i pizzini. La testimonianza di una psicologa: “La solitudine di quei momenti è terrificante. Io faccio di tutto per alleviarla, anche le carezze ai piedi ‘su mandato’ dei parenti”

Questo il titolo di un articolo sull’edizione online di Repubblica

Parole, sguardi. Sentimenti mediati. Messaggi d’addio scritti con le ultime forze a disposizione ai margini delle parole crociate, su una rivista. Oppure affidati con gli occhi ai medici e agli psicologi delle terapie intensive.
Questa l’apertura dell’articolo di Luca Monaco che descrive i momenti di grande sconforto e di disperazione che accompagnano spesso le ore ed i giorni passati in terapia intensiva, un reparto che è come un bunker, senza nessun contatto con l’esterno e quando i pazienti entrano, se non riusciranno a farcela, non rivedranno più i loro cari.
Ed è frequente che i pazienti ricoverati scelgano qualunque mezzo per far arrivare messaggi ai familiari, in ansia dietro quel bunker. Come il caso di una 70enne ricoverata nel reparto covid dell’ospedale Vannini, al Casilino.

La donna non risponde all’ossigeno terapia né ai farmaci. Non vuole sottoporsi al casco “Cpap” con l’ossigeno a pressione positiva. Si spegnerà poche ore dopo. Non prima di aver dedicato l’ultimo pensiero ai suoi amori: “Non voglio impazzire, fatemi addormentare senza risvegliarmi. Scusate figli miei, ma voglio morire dormendo”.
Un messaggio trovato dai sanitari sul bordo del letto e poi inserito nella sacca degli effetti personali da riconsegnare alla famiglia.
Al policlinico di Tor Vergata però c’è un’alternativa: la dottoressa Francesca Alfonsi, psicologa e psicoterapeuta delle Terapie intensive dell’ospedale. E’ lei che fa da tramite fra pazienti e familiari, attraverso collegamenti in video chiamata.
Riceve quotidianamente le chiamate dei familiari, non solo per fornire loro il supporto psicologico nel corso di colloqui che durano anche oltre un’ora ciascuno, ma prova a colmare il vuoto. Buca le pareti del bunker, scrive Luca Monaco.

Le sensazioni della psicologa: ” ho nella mente nomi, toni di voce, mi vengono affidati gli aspetti più intimi dei rapporti familiari. Durante i colloqui si vivono momenti di grande commozione”.
Come il messaggio di una ragazza di 27 anni fatto recapitare al padre, spaventato e stanco di lottare e che aveva rifiutato di essere intubato: “Papà non puoi mollare adesso, io mi devo ancora sposare, devi portarmi tu all’altare. Mia sorella deve laurearsi. Fatti intubare, fallo per noi, non puoi negarti questa possibilità”.
E ancora diverse testimonianze…

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