I recenti episodi segnalati dalla SSD Palermo rispetto alle violenze verbali di cui è stato vittima il tecnico Pergolizzi, fanno emergere il problema dei post e dei messaggi scritti sul web. E’ una giungla come pensano gli autori di accuse e frasi infamanti? Cosa recita la legge? Cosa prevede la Giurisprudenza?

Lo abbiamo chiesto all’Avvocato Ninni Terminelli, grande tifoso del Palermo ma soprattutto esperto di “Diritto del web e dei social media“.

”Il tutto parte dal gennaio del 2017. Il diritto del web è, in questo caso, con riferimento alla sfera dei social media, viene rimodulato da una storica sentenza della cassazione che è una pietra miliare. Ovvero quando la cassazione afferma per la prima volta in una sentenza che si consuma su una bacheca di Facebook il reato di diffamazione aggravata, allora previsto nel codice penale dal codice 595. La diffamazione si distingue in: diffamazione semplice o aggravata. La diffamazione aggravata nel caso dei social media viene sostanzialmente inquadrata, delineata, nel comma 3 dell’articolo 595 del codice penale, che recita: se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da 6 mesi a 3 anni o della multa non inferiore ad euro 516. Sostanzialmente l’articolo 595 che prevede il reato di diffamazione e che ha quattro 4 comma prevede intanto l’offesa dell’altrui reputazione come presupposto, nel comma 3 come già detto, si configura il tipo più grave del reato, la cosiddetta diffamazione aggravata, che va dal comma 2 al comma 4.

La giurisprudenza è stata chiara, tutto questo deve far pensare che i social media non sono più la giungla dove si può dire tutto e il contrario di tutto. Il caso storico fu quello nei confronti del presidente della Repubblica con vilipendio a carica dello stato, reato di diffamazione, minacce, tutto ciò che si verifico qualche anno fa. In termini di pena, le conseguenze previste dall’articolo sono pesanti perché vanno da 6 mesi a 3 anni. Se un soggetto cancella il contenuto delle frasi offensive, non ottiene sostanzialmente nulla. Perché non può essere dimostrato nel tempo in cui il testo è rimasto pubblicato, quante persone sono state raggiunte, in quanto evidentemente il legislatore, la giurisprudenza parlano proprio, in riferimento ai social media, ad una moltitudine di persone che i social media possono raggiungere. Quindi, se il post è stato pubblicato 2 ore, 1 ora o mezz’ora, può ugualmente essere arrivato a migliaia di persone. E comunque, la diffamazione scatta nel momento in cui l’affermazione offensiva dell’altrui reputazione supera il numero delle 2 persone. Se due persone si scambiano offese e insulti nella chat privata tra loro, non vi è diffamazione, perchè è una conversazione ”domestica”, privata, perché avviene tra i due soggetti. Dal momento in cui scatta la presenza di una terza persona, lì si configura la diffamazione”.

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