La storia d’amore di Padre Valerio per il Palermo inizia molto presto, da quando era piccino e mamma Maria, tifosissima rosanero, lo cullava tra le braccia. Crescendo, questa comune passione ha unito sempre più madre e figlio, un legame profondo che oggi va oltre il tempo e lo spazio:

«Mia madre si chiamava Maria Arcoleo, da quattro anni non c’è più – racconta ai nostri microfoni Padre Valerio. Era tifosissima del Palermo, è stata lei a trasmettermi questa passione. Sono nato e cresciuto a Vergine Maria, un feudo rosanero, il mio legame con Palermo è fortissimo. Amo molto identificarmi con la mia città, mi sento un palermitano doc, ma non vivo più a Palermo da diciotto anni. Il mio ministero mi ha portato a vivere prima a Ciminna, adesso a Termini Imerese. Ma ho sempre mantenuto i legami affettivi con la città, vengo spesso per respirare la sua aria, i suoi sapori ed i suoi colori. Il rosa ed il nero per me identificano la città e la mia persona. Non potrei mai tifare per un’altra squadra, soprattutto per quelle del nord, come fanno alcuni che sono bigami.»

Qual è stata la prima partita che ha visto allo stadio?
«Un derby con il Catania. Avevo circa otto anni, mia madre mi portò in curva nord e da allora sono rimasto fedele alla curva. All’età di 14 anni mi iscrissi al club rosanero di Vergine Maria, a quei tempi era associato al centro coordinamento dei club della signorina Annamaria Tornabene. Ho un grande ricordo di questa donna che ha saputo fare un lavoro straordinario unendo il tifo palermitano. Mia madre amava tantissimo giocare a calcio, era una donna molto moderna, aveva preso la patente ed era molto autonoma. Mio padre non aveva questa passione, preferiva restare a casa, raramente riuscivamo a trascinarlo con noi. Quando c’è stato il funerale di mia madre, ho messo la sciarpa del Palermo sopra la sua bara.»

Come si coniuga la fede verso il Signore con la “fede” calcistica?
«E’ ovvio che non possiamo anteporre Dio al calcio, ma sono due realtà che possono coesistere. Certamente con una debita distanza, questo va specificato, non si può mai fare un paragone tra Dio e lo sport. Ma l’attaccamento alle cose divine, alla fede ed ai fratelli, fa percepire quello che deve essere l’attaccamento verso la propria città ed ai propri colori: una fedeltà costante. Nella lettera di Diogneto c’è una bellissima testimonianza che dice che il cristiano non si differenzia per nulla dal comune cittadino, tuttavia vive in questo mondo ricordandosi che non appartiene a questo mondo.»

Le scappa ogni tanto una preghierina per il Palermo?
«Non nascondo la mia devozione a Santa Rosalia, qualche volta ho chiesto la sua intercessione per il Palermo. Ovviamente ho piena coscienza che dobbiamo lasciare al loro posto Dio ed i Santi, non mischiarli in queste cose terrene. Tuttavia non c’è nessun tipo di contraddizione nell’essere cristiano e credente ed il vivere una “fede” calcistica.»

Quando ha scoperto la sua vocazione sacerdotale?

«Sono cresciuto dentro la Parrocchia di Vergine Maria, questo non significa però che non abbia fatto esperienze di altro genere. Il cristiano è chiamato nel mondo ad annunciare Gesù, la mia vocazione nasce dunque nel mondo per il mondo. Ho sentito la chiamata quando avevo circa 20 anni, frequentavo la facoltà di teologia e sentivo crescere sempre di più il mio amore per la fede e il desiderio di servire il Signore in una maniera più totale. Mia mamma all’inizio non prese tanto bene questa decisione, sono figlio unico e come si dice in palermitano eravamo “u lazzu ca strummula”, capitava anche di litigare, ma mi voleva bene in maniera pazzesca. Poi però ha accettato la mia scelta ed ha partecipato alle attività parrocchiali.»

Come ha conciliato il suo ministero pastorale con la sua passione rosanero?
«Per alcuni anni ho continuato ad essere abbonato in curva nord, non ho mai avuto nessun problema ad andare in curva. Quando non sono potuto più andare, sono riuscito a seguire sempre il Palermo in tv o in radio. Anche ora che siamo in serie D. Di recente sono venuto allo stadio con i fedeli della Parrocchia di Sant’Antonio di Padova di Termini Imerese per la gara contro il Corigliano.»

Quale giocatore rosanero ha amato di più?
«Sarò in contro tendenza, ma ho amato tantissimo Miccoli, non ci posso fare niente. A parte i suoi errori umani, ma siamo tutti peccatori l’importante è pentirsi e redimersi, calcisticamente parlando l’ho adorato.»

Come ha vissuto il fallimento dell’U.S. Città di Palermo e la successiva rinascita della squadra rosanero?
«Il fallimento secondo me è stato pilotato. Tutti abbiamo dato, giustamente, la colpa a Zamparini, ma non si può dimenticare quello che lui ci ha dato. Abbiamo toccato il paradiso e l’inferno. Ricostruire e riportare la squadra ai livelli che Palermo merita non sarà semplice. Anche Mirri è stato molto chiaro e molto onesto. Dobbiamo dargliene atto e personalmente lo ringrazio per quello che ha fatto e sta facendo. Ho grande ammirazione per questo uomo. Ma non dobbiamo mai dimenticare che i campionati non si vincono con il blasone. Siamo come la statua di Nabucodonosor, un gigante con i piedi d’argilla, se non si hanno le fondamenta più che salde si rischia di crollare.»

E’ un momento difficile, cosa vorrebbe dire ai tifosi?
Si deve avere pazienza, dobbiamo uscire da questa serie D. Chi affronta il Palermo lo fa come se affrontasse una gara di Champions league, non dico Juventus perché sono anti juventino. Se facciamo pesare la nostra proverbiale sfiducia palermitana, il nostro essere fatalisti, il nostro pessimismo, non si va più avanti. Bisogna sperare, sono sicuro che centreremo l’obiettivo. Più che temere il Savoia, temo l’aspetto psicologico di noi palermitani. Se restiamo sereni, possiamo uscire da questa situazione. Il Savoia ha un buon organico, ma sono convinto che noi siamo superiori.»

Ringraziamo Vito Lores Giglia – Fondatore della pagina facebook “Palermo CalcioMercato” per la cortese collaborazione alla realizzazione di questa intervista.

 

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