Scriveva Pier Paolo Pasolini che “il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita”. Nel calcio l’espressione “di padre in figlio” indica la passione inspiegabile che nasce da bambini per un’unica maglia e che si tramanda di generazione in generazione, valicando spesso anche i limiti temporali della vita stessa.

Come da tradizione che si rispetti, anche il nostro amico Claudio Liotti ha ereditato la passione per il Palermo dal padre. Un amore iniziato tanti anni fa e che oggi Claudio, nel ricordo struggente di suo padre, vuole trasmettere ai suoi due figli:
«La prima volta che mio padre mi portò allo stadio avevo 10 anni, stagione 1990/1991. Ero in curva sud superiore. Con noi c’era anche mio fratello, più grande di me di 18 anni, pure lui grandissimo tifoso rosanero. Dopo lo scandalo del calcio scommesse degli anni ’80, mio padre si era allontanato dallo stadio, ricordo che preferiva seguire insieme a me le partite del Palermo su Tele Regione. Quel giorno però volle farmi un regalo e così andammo alla Favorita.»

Cosa ti colpì in modo particolare?
«Rimasi affascinato da quella immensa platea, della gente festante che faceva la “ola”. Così da quel giorno fu un continuo chiedere: “Papà mi porti a vedere il Palermo?”. Mio padre si convinse e per amore mio ritornò per i successivi due anni allo stadio. Poi continuai ad andare con mio fratello e mio nipote, ma quando tornavo a casa lui mi aspettava per commentare con me la partita e tutti gli episodi della gara. Quando parlo del Palermo degli anni passati mi sembra di avere ancora mio padre accanto a me, risento la sua voce e mi illudo di poter di nuovo parlare con lui del Palermo.»

Come avete vissuto la storica promozione in serie A del 2004?
«Lui non ci sperava più, mi diceva sempre che prima di morire avrebbe voluto rivedere il Palermo in serie A. La promozione dopo 32 anni fu per noi una grande emozione,  festeggiammo in maniera incredibile, quella notte dormimmo davvero pochissimo. La mattina seguente lui era ancora incredulo e mi chiese se era tutto vero o se l’aveva solo sognato.»

Oggi sei tu che porti i tuoi figli allo stadio:
«Voglio trasmettere ai miei figli questo grande amore che mio padre mi ha trasmesso per il Palermo. Da quest’anno siamo tutti abbonati, mia moglie ed i nostri due bambini. Clarissa, che è la più piccola, da quando lo scorso anno l’ho portato al “Rosanero in Fest” si è letteralmente innamorata dei colori rosanero e vuole venire sempre con me allo stadio, anche quando sta male. Anche mia moglie, che per motivi di lavoro a volte non può venire, si è appassionata grazie a me. Per noi è stato importante abbonarci tutti quanti insieme.»

Parlando di Palermo, cosa ti manca di tuo padre?
«Mi manca poterlo abbracciare ad ogni gol, abbraccio chi è seduto accanto come se fosse lui, anche se non lo conosco. E’ stato molto difficile perderlo, dopo tre mesi è andata via anche mia madre ed è stato un periodo davvero molto duro. Il mio rapporto con il Palermo va oltre il pallone. E’ la nostalgia di mio padre, sono i ricordi della mia infanzia, di un tempo felice vissuto accanto ad un uomo meraviglioso ed una famiglia che mi ha amato. L’amore per la maglia rosanero è nel nostro DNA. Ricordo che mio padre mi diceva sempre che per lui era assurdo tifare per una squadra che non era la nostra, che rappresentava una città dove le persone ci erano ostili e ci chiamavano terroni. Mi ha inculcato che si deve tifare per la squadra della propria città ed è questo ciò che adesso io insegno ai miei figli.»

Cosa rivedi in questo nuovo Palermo della vecchia squadra rosanero che ti fece innamorare?
«Dopo tanto tempo sto rivivendo il calcio di quando andavo allo stadio da ragazzino. Vedo quell’entusiasmo nella gente che non c’era più. Si era diventati apatici. Ricordo che io mi ero innamorato del clima di gioia e di festa che c’era in serie C. Gli ultimi anni della precedente società sono stati bui e tristi e la serie D, alla fine, è stata anche un bene, da tifoso è brutto dirlo, ma per come erano andate le cose e per quello che ci avevano fatto vivere, ripartire dalla D è significato per me ripartire con dignità. Quella che avevano calpestato. Il fallimento l’ho vissuto come una liberazione, oggi mi ritrovo ad uscire dal Barbera di nuovo festante, allo stadio c’è un’aria nuova, di aggregazione, di tifo vero e di grande gioia. Spero naturalmente che il Palermo torni al più presto in serie A e che possa nuovamente lottare per grandi traguardi. E credo che questo sogno un giorno si realizzerà.»

Quanto è stato importante  per te condividere l’amore per il Palermo con tuo padre?
«Secondo mè è fondamentale avere una passione in comune ed un rapporto di complicità e di dialogo con i propri genitori. Quando siamo molti giovani ci sembrano pesanti, magari possono dare fastidio i loro consigli, poi crescendo ci rendiamo conto che somigliamo a loro. Con i miei figli sto provando a fare come mio padre faceva con me, anche se ancora non mi sento alla sua altezza. Ma i ricordi più belli che mi sono rimasti di lui, oltre a quelli familiari, sono quelli di quando andavamo insieme allo stadio, lui non guidava e prendevamo l’autobus. Era bello stare con lui, parlare del Palermo e vivere insieme questa nostra grande passione.»

 

 

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