
Il mercato? Adesso si fa con i social»
Scopriamo come sono cambiate le trattative in quest’epoca sempre più condizionata dalle piattaforme virtuali
Turinay: “Un calciatore non viene valutato solo per le statistiche in campo, ma anche per il livello di engagement che genera online”
Il Ceo della Milli: “Le community incidono pure sugli ingaggi”
Questi i titoli di TuttoSport, oggi in edicola
L’articolo di Simone Togna
Nel calcio di oggi, i follower contano quanto i gol
Non bastano più gol e assist per definire il valore di un calciatore. Nell’era digitale, la visibilità online può incidere tanto quanto il rendimento in campo. A confermarlo è Rudy Turinay, Ceo dell’agenzia francese Milli, che sottolinea come l’engagement sui social sia ormai un fattore determinante nelle scelte di mercato e persino negli stipendi degli atleti.
«Oggi ci sono club che guardano prima al profilo social che alle prestazioni tecniche», spiega Turinay. Non è raro che una solida fanbase o un video virale su TikTok aumentino il valore percepito di un giocatore. L’esempio dell’Inter, che dopo aver eliminato il Barcellona in Champions ha guadagnato un milione di nuovi follower, dimostra il potenziale commerciale di queste dinamiche.
Ma l’altra faccia della medaglia è fatta di illusioni. Storie come quelle di Kerlon, Mastour o Freddy Adu — promesse esaltate online ma mai sbocciate realmente sul campo — ricordano i rischi di un’eccessiva enfasi sulla vetrina digitale. «Il calciomercato è diventato un teatro d’influenza social», avverte Turinay, ricordando anche come i social possano ostacolare trattative, come accadde nel 2018 con il tweet del Barcellona che dirottò Malcom, ormai dato per certo alla Roma.
Non solo i calciatori sono coinvolti: anche gli allenatori possono finire nel mirino, come dimostrato dal recente hashtag #nopetegui che ha condizionato le scelte del Milan. In un mondo dove l’hype corre più veloce del talento, resta la sfida di distinguere la realtà dalla percezione. «Il vero valore», conclude Turinay, «si misura ancora nei 90 minuti». Ma oggi, più che mai, è più facile a dirsi che a farsi.
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