
Baldini: “Promozione? Il Palermo era più attrezzato. Calcio pieno di problemi”
Dopo l’ennesimo capolavoro della sua carriera, riportando il Pescara in Serie B, Silvio Baldini si è concesso ai microfoni della Gazzetta dello Sport per parlare dell’annata appena terminata. Il tecnico toscano ha anche fatto un parallelo con la promozione ottenuta con i rosanero, che come afferma era una squadra più attrezzata della compagine abruzzese. Spazio anche per parlare della famiglia e della questione Nazionale con l’esonero del suo amico Luciano Spalletti. Ecco di seguito le sue parole.
Le parole di Baldini
La dedica per la promozione in B: “Conta il percorso. Come per la mia famiglia, la cosa più importante: se per loro faccio il lestofante non va bene, contano i valori. Così è nel calcio. La Ternana era nettamente più forte e noi in 10, ma il destino ha deciso così. Sa a chi la dedico la promozione in B? Agli allenatori che non sono riusciti a finire il campionato. Noi siamo persone sole, dopo un esonero si resta feriti nell’anima, so cosa significa: vorrei che i colleghi gioissero con me, tra un vincitore e un vinto non c’è differenza. Se credi solo nel risultato sei condannato a perdere sempre”.
La differenza della promozione con i rosanero: “Il Palermo era più attrezzato, il Pescara per farcela doveva crescere. Abbiamo vinto 15 gare fuori casa, vuol dire aver lavorato nella maniera giusta, con cuore e passione. A Palermo è bastato dare piccole regole a giocatori forti che sono esplosi”.
La dedica alla famiglia: “Senza di loro come farei? Il mio modo di pensare può sembrare folle, ma se ho vinto è per i principi verso di loro”.
Il momento della Nazionale
L’esonero di Spalletti: “Puoi mettere chiunque a guidare la Nazionale, se perdi diventi carne da macello. Non c’è più senso di appartenenza, c’è chi rifiuta la convocazione…Molto triste. Ma il calcio è pieno di problemi, di piccole truffe, di bilanci truccati, un mondo in cui si è abitua ti a barare: come si fa a trasmettere il senso di appartenenza? Qui conta solo lucrare, non conta più nemmeno l’inno”.
L’inno e il senso di appartenenza: “È solo uno slogan, chi lo canta non ne conosce il significato. È un inno per chi ci ha dato la libertà, cosa ne sanno i giocatori? Dicono che ho un linguaggio da cafone, ma questo mondo lo devi trattare così perché non c’è rispetto. Si vuole solo imbrogliare, ci si nasconde dietro alla forma. Ma non mi fregano. Un vecchio boscaiolo mi diceva che non si fidava dei preti che dicevano messa in latino perché non capiva nulla e potevano dire qualsiasi co sa. Nel calcio è così, si vende l’apparenza. Un vero dispiacere per la tradizione e la cultura italiana”.
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