Davide Vigore è un regista siciliano, autore di svariati lavori, come “La Viaggiatrice” e “La bellezza Imperfetta”. Ha fondato YouMovie, una piattaforma di distribuzione on demand per amanti del cinema indipendente. TifosiPalermo l’ha intervistato per conoscerlo meglio. La seguente è una trascrizione di un’ appassionante chiacchierata registrata.

Hai già girato diversi lavori, hai vinto un Nastro d’Argento e tanti altri titoli, volevo chiederti un autoritratto: due parole che potessero rappresentarti.

I miei due più grandi difetti, probabilmente, che poi forse sono il motore del mio mondo e del mio mestiere. Sono un incontentabile e un impaziente. Credo che queste due parole descrivano molto la mia azione, sia nella vita che nel mio lavoro. Essere impazienti vuol dire avere tutto, subito, velocemente, non aspettare, cercare di mangiarsi i tempi, mangiarsi la vita, quindi viversi al massimo le cose. E incontentabile perché, insomma, ho sempre a che fare con il sogno, voglio sempre vivere qualcosa che non mi aspetto, perché la vita a volte può essere banale, può essere poco soddisfacente, quindi ritrovarsi in qualcosa che è incontentabile ti porta sempre a sognare, sempre a viaggiare con la mente, ad andare oltre. Credo che questi due aspetti sintetizzino bene il mio modo di stare al mondo.

Ti volevo chiedere, a proposito di questa risposta, come, secondo te, si possa conciliare l’impazienza con la regia.
Beh, è molto difficile perché si vive in continuazione, in questo mestiere, con la voglia di fare un film, con la voglia di scrivere, di buttare giù storie, di girare i film, però più passa il tempo, più ti renderai conto che fare un film è una macchina produttiva complessa, servono soldi, persone e tempo. Quindi è veramente un mix letale. E’ sempre utile essere incontentabili però il tempo che a volte si protrae per colpa del nostro lavoro, per iniziare un progetto, può tornare utile per sedimentare un’idea o essere convinti che veramente quel film si voglia fare davvero. Credo che tutto ciò sia utile per la realizzazione del progetto.

Da cosa deriva la soddisfazione di aver fatto un film? Perché dedicare tutto questo tempo?
Qual è il motivo che ti spinge a dedicare tutto questo tempo a progettare, a non avere nulla ancora tra le mani, a vivere tutte queste emozioni contrastanti, ad aspettare così tanto?
Mah, sono cose che faccio senza nessuna fatica, non è che decido a tavolino: “faccio questo film”. Non sono cose pensate, sono cose naturali, ho sempre fatto questo nella vita. Io mi ricordo che sono nato, ho fatto la scuola e poi finita la scuola ho fatto questo. Non è che io lo faccio con chissà quale pensiero. Mi accade qualcosa nella vita, mi emoziono, vedo qualcosa, vivo qualcosa e ho voglia di scriverla, di raccontarla, inizio a prenderci gusto, mi allontano dalla vita vera ed entro sempre di più in questa vita fantastica che provo a raccontare nei miei film e questa cosa mi soddisfa. E’ un’operazione quasi inconscia, è come il maratoneta che ogni giorno si alza e corre. E’ una cosa che viene quasi spontanea, non è architettata. Lo faccio con assoluta naturalezza. Poi c’è da dire che non appena riesco a fare il film e finisce, mi dà soddisfazione, perché mi ha dato la possibilità di vivere un’altra vita. I film è come se fossero dei viaggi e quando vedo un film è come rivedere un album fotografico di un viaggio che hai fatto dall’altra parte del mondo, dove vedi i tuoi compagni di viaggio che sono gli attori, che sono le location che hai scelto, quindi credo che ti dia la possibilità di vivere altre vite e questo lo trovo utile anche per chi, come dicevo prima, è incontentabile e quindi mai soddisfatto nella propria vita. Fare film è un buon modo per provare ad avere una vita soddisfacente.

Penso che la tua figura creativa si intrecci perfettamente tra scrittura e regia, e sicuramente l’una contagia l’altra, la contamina in maniera irreversibile. Quanto della tua scrittura ti porti nella regia, nel movimento di macchina… quanto di effettivamente hai chiaro nel momento della scrittura?
Tutto. Infatti un mio grande limite è non essere capace di girare film che scrivono altri. Mi hanno anche proposto sceneggiature bellissime ma io non ero in grado di girarle perché non le sentivo, perché quando io scrivo già per me il film è finito. Per me il film finisce non appena scrivo la sceneggiatura, poi girarlo per me è solo la prova del nove. Per me la scrittura è la parte più eccitante, più creativa, più sofferente, più lunga, più libera e quindi quando finisco di scrivere un film, per me è già girato, manca solo chiamare Ciprì, chiamare il mio produttore, mettere su la macchina e girarlo. Pensa che io già di struttura scrivo esattamente quali sono le musiche del film, quali sono i movimenti macchina… Io scrivo una sceneggiatura che, tra l’altro, è molto descrittiva; quasi più vicina ad un romanzo che ad una sceneggiatura, infatti per questo avevo problemi quando andavo al Centro Sperimentale… litigavo sempre proprio perché la struttura prendeva più in prestito dalle pagine di un romanzo. Sono iper descrittivo, questo perché per me la scrittura già chiarifica perfettamente l’atmosfera che porterò sul film, e questo è utile a me nel momento della messa in scena ma lo diventa anche per i miei collaboratori. Io ho la fortuna di fare film sempre con le stesse persone, quindi quando Ciprì legge le pagine della sceneggiatura, capisce perfettamente dagli aggettivi che ho utilizzato, qual è il mood. Ormai parlo pochissimo con i miei collaboratori così come con Riccardo Cannella, il montatore; così come con Paolo Previti lo scenografo, che dirige tutti gli altri del reparto. Addirittura Peppino Tripoli, che è il mio fonico, già prende gli ambientali sapendo che io li userò, senza che io glielo chieda. Questo perché è tutto frutto di una sceneggiatura molto articolata e molto precisa.

Quanto ti fidi del Direttore della Fotografia? Non Daniele Ciprì in particolare, nel senso, se tu non conoscessi ancora Ciprì e volessi trovarti un nuovo direttore della fotografia qual è la cosa che cercheresti?

Questa è una bella domanda, diciamo che con il direttore della fotografia bisogna creare un gusto, un’idea di cinema che deve essere simile. Ti devono piacere le stesse cose, devi avere uno stesso gusto estetico, devi avere un certo amore per certi personaggi per poi raccontarli, ci deve essere un punto di vista sul gusto, sulla bellezza, sulle proporzioni, uguale. Questa è la prima base, poi io ero anche preoccupato, perché pur essendo Daniele, probabilmente, il più grande direttore della fotografia che abbiamo in questo momento in Italia, mi ricordo che quando abbiamo fatto il primo film, che fu La Viaggiatrice, io ero fresco di diploma al Centro Sperimentale. Avevo 25-26 anni, quindi faccio il mio primo corto e avevo Ciprì che faceva la fotografia, per cui, al contrario, la mia preoccupazione era che Daniele, con la sua bravura, con la sua qualità, mi avrebbe assolutamente scavalcato e l’avrebbe fatto lui il film. Anche perché all’inizio, io ero solo un giovane di belle speranze, che non aveva fatto ancora tanto e quindi molte persone della troupe, una troupe di qualità, aveva accettato, non tanto per il regista ma per il direttore della fotografia. Ero convinto che tutti fossero lì per Ciprì. Anche in quel caso, mettevo le x per terra dove doveva starci il punto macchina e a Daniele dicevo quale, secondo me, doveva essere l’ottica da mettere. Per come la vedo io, il direttore della fotografia non deve farti il film. Tu devi avere in testa il film, cos’è che vuoi raccontare. L’inquadratura, il movimento macchina… hanno la stessa valenza di un aggettivo, che tu hai utilizzato durante la scrittura. Se tu durante la scrittura hai utilizzato un tipo di aggettivo, lo devi saper tradurre anche nell’impatto visivo e nell’inquadratura. Il direttore della fotografia serve perché deve forse darti un altro punto di vista e deve aiutarti ad arrivare quanto più possibile vicino a quell’aggettivo. Per fare una sintesi della domanda, ci vuole una piacevole intesa personale. Io e Daniele, aldilà della sua bravura, siamo amici, quando vediamo un film ci telefoniamo e noto che, il più delle volte, su alcune cose abbiamo lo stesso gusto, quindi abbiamo la stessa idea di bellezza. Due: il direttore della fotografia appunto è importante ma non fondamentale perché il film lo fa sempre il regista. Il direttore della fotografia può impreziosire quell’aggettivo ma l’aggettivo deve restare sempre del regista.

Qual è la tua opinione riguardo il regista-autore ed il regista più da grande produzione? Che percorso vorresti intraprendere?
Quando faccio un film, sono cose che non mi pongo, perché non penso né ad un aspetto distributivo né ad un aspetto produttivo. Non penso né ad un pubblico, né se avrò un pubblico né a chi vedrà il film né a chi piacerà quel film. Insomma, quando faccio i miei film, sono tutte dinamiche lontane.
Voglio solo raccontare una storia che mi piace e lo faccio quanto più possibile a mio modo. Io sono un po’ figlio di tutt’e due gli aspetti. Indubbiamente tendo a fare un cinema d’autore perché racconto solo le cose mie, poi questo può piacere o no, però racconto i miei mondi. Sono anche produttore di me stesso, perché i lavori che abbiamo fatto sono prodotti dalla mia casa di produzione e del mio socio, che è Giovanni Rosa. Tutto sommato faccio un lavoro da produttore, quindi bandi, distribuzione, accordi ma principalmente faccio un lavoro da autore. Chiaramente, se potessi scegliere, mi piacerebbe poter fare cinema d’autore in un sistema industriale, poter fare i miei film con delle major che ti mettono a disposizione tanti soldi, tanto tempo e tante possibilità.
La cosa bella sarebbe riuscire a creare una sintesi tra le due cose. Credo che il cinema d’autore, in un’ottica industriale, se si riesce a coniugare, può venire qualcosa di buono. In questo Paolo Sorrentino è riuscito e i suoi film sono indubbiamente dei film d’autore. Ma anche nelle stesse serie “The Young Pope” e “The New Pope”, c’è lo sguardo autoriale che ha Paolo, quasi, come lui stesso dice, come se avesse scritto un romanzo. Paolo è riuscito perfettamente in una sintesi felice e quindi bisogna aspirare a quello.

Ti volevo chiedere più informazioni su “YouMovie”, nella speranza che questa intervista possa arrivare a quanti più giovani possibili, che amano il cinema indipendente.
YouMovie è un’idea che è venuta durante il lockdown, quindi durante quest’anno di pandemia. In realtà io avevo dei fondi per fare un progetto, un festival di cinema, poi insomma questi fondi non potevano essere utilizzati perché era difficile fare un festival di cinema, allora abbiamo deciso, con questo ente pubblico che ha dato i soldi, di modificare il progetto e tentare di fare un’operazione, che era da sempre utile, ma in questo momento come non mai, di creare una vera e propria

piattaforma che dia la possibilità di distribuire, di avere una vetrina ad un certo cinema indipendente e un certo cinema d’autore che, di base, sono esclusi, Questo perché l’ho vissuto in prima persona con la Bellezza Imperfetta, che è stato a Venezia, ha vinto il Premio Leone, è andato in giro, a Marzo tra l’altro grazie alla Siae avevo una distribuzione all’estero quindi dovevo portare il film all’estero, ma la pandemia ha fermato tutto e quindi il mio film, che anzi per sei mesi ha girato, dopo Marzo si è fermato e così come me, chissà quanti cortometraggi, quanti documentari, film d’autore, che non rientrano nel grande circuito del cinema e vivono solo di eventi festivalieri,
vivono solo di rassegne, di eventi culturali, dato che questi non si possono fare più, probabilmente questi film resteranno chiusi nei cassetti. Allora ho pensato di mettere su una piattaforma, dove poter diventare una sorta di Netflix del cinema italiano, come un po’ ha detto Repubblica, però del cinema d’autore e indipendente. Prende tutti quei film d’autore e indipendenti che non rientrano nel
sistema industriale, nei grandi circuiti distributivi, e dà uno spazio dove potersi esprimere, dove possono essere distribuiti e al contempo abbiamo anche pensato di creare una vera e propria community, quindi sarà anche una specie di social dove si troveranno tutte le persone che lavorano nel mondo della cultura, del cinema, del teatro, della musica. Ognuno avrà la propria pagina, potrà postare i propri video. Ci saranno attori, musicisti, scrittori, registi, cantanti. Abbiamo creato finalmente uno spazio interattivo, di scambio, che riguarda un certo tipo di autori, di personalità, di maestranze che lavorano in un circuito indipendente e autoriale che generalmente non riesce ad entrare nel grande sistema industriale.

Vorrei approfittare della presenza di un autore come te per parlare di un tema che penso ti stia molto a cuore, specialmente nell’ultimo mediometraggio che hai girato, che è proprio l’amore. L’amore per sé stessi, mi viene da pensare, della Bellezza Imperfetta, per chi ha avuto il piacere di poterlo vedere. Viene subito fuori l’amore di quest’uomo, che prima di riflettersi su chi gli sta intorno, si riflette prima in sé stesso. Qual è stato l’evento nella tua vita privata, se ti va di condividerlo, che ti ha spinto a riflettere su questa cosa? E per quale motivo credi che le persone debbano vedere La Bellezza Imperfetta e riflettere su questa cosa?

Quando uno fa i film, generalmente, è sempre difficile parlare dell’inizio, di cosa ti ha portato a farlo, più che altro tu capisci il motivo per cui hai fatto un film alla fine, senti l’esigenza di raccontare un tipo di storia e lo vuoi fare alla fine. Nel mio caso, avevo l’esigenza di raccontare Palermo per come l’avevo vista io. Una certa Vucciria, una certa piazza Garraffello, il Foro Italico, certe bellezze macchiate dal dark, insomma tutto questo mi mancava, era una ferita ancora aperta, fresca, avevo tutte quelle suggestioni che a Roma non ho trovato e quindi mi sembrava giusto scriverle e cristallizzarle. Poi, ogni uomo ha un amore inconfessabile e pure in quel periodo storico della mia vita inseguivo una bellezza imperfetta, e come tutte le bellezze imperfette, prima ti regalano solo sprazzi di bellezza ma poi fuggono via. Quello è stato un altro elemento che mi ha fatto accendere il motore della Bellezza Imperfetta. Credo che molti eventi personali, gli incontri che fai nella tua vita, dove vivi…sono i motivi che ti portano a fare un film. E il motivo per vedere
La Bellezza Imperfetta credo che stia nel fatto che seppur sia un film molto personale, molto locale, che parla di Palermo, che parla di qualcosa di molto specifico, al contempo sia anche universale. Credo che tutti quanti abbiamo avuto un amore giovanile, tutti quanti abbiamo avuto un bivio in un momento preciso e determinante nella nostra vita che attraverso la storia di Girolamo Scimone, tutti quanti possono rivivere. Alla fine Girolamo Scimone è estremizzato nella sua bruttezza, è estremizzato nella sua vita sconclusionata, secondo me è un po’ l’incarnazione di una piccola parte di ognuno di noi, quella parte un po’ più estrema, un po’ più dark che poi, alla fine, non è altro che una reazione automatica a certe delusioni della vita. La Bellezza Imperfetta è un po’ la risposta a quando noi, in uno stupido martedì pomeriggio, facciamo la spesa e veniamo trafitti, senza preavviso, da un pensiero nostalgico e ci interroghiamo se è stata la scelta giusta. Ecco, La Bellezza Imperfetta è un aiuto a riflettere su quelle condizioni dell’animo.

Estetica o narrazione?
Io faccio dei film visivi. Io scelgo di fare un film e chi con me, produttore, troupe che fa un film con me, sa che vengono chiamati per fare questo. I miei film funzionano, hanno un senso, se si lavora sul mio impatto visivo che è una mia scelta stilistica, è il mio modo di narrare la storia. E’ la conditio sine qua non per fare i miei film, se non c’è quell’impatto lì i miei film non funzionano. Sia io che chi è con me è preparato a questo, anzi sono molto contento che ultimamente, si sia instaurata quasi una forma sfida al prossimo film, su cosa metteremo in piedi. Sono abbastanza fortunato anche perché ho la fortuna di avere due-tre persone che lavorano con me. Due sono ad esempio i miei produttori, Giovanni Rosa e Rocco Pascale. Ho anche la fortuna di avere una grande amica che è anche la mia organizzatrice, Giusi Giardina, che si occupa di organizzare il film e mi da quella possibilità di stare sereno e godermi i giorni del set. Poi è chiaro che ci sono stati problemi perché per esempio, quando ho girato la scena sotto la pioggia, in realtà non pioveva, la pioggia l’abbiamo ricreata noi e per ricrearla c’erano due possibilità: o dovevano venire gli effetti speciali da Roma, che avevano un costo enorme e per il nostro piccolo progetto non era possibile, oppure, dovevamo coinvolgere chi aveva un quantitativo d’acqua che poteva mettere a nostra disposizione, e quelli sono i vigili del fuoco. Abbiamo chiesto al Comune di Palermo la partnership e l’abbiamo girata con i bocchettoni dell’acqua. Il giorno che dovevamo girare quella scena, quel modulo, quel bocchettone era impegnato in un intervento fuori Palermo, quindi ci mandano con un ritardo di un’ora un altro bocchettone che non aveva quell’efficacia. Abbiamo dunque dovuto cambiare bocchettone… insomma le difficoltà ci sono nella produzione, però la cosa importante quando tu hai l’idea di fare un film è che devi assolutamente mantenere quello che tu vuoi raccontare, a volte i limiti possono poi aguzzare l’ingegno e alla fine abbiamo portato a casa il risultato.

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