di Benvenuto Caminiti

Oggi, 3 maggio… se il coronavirus non ci avesse rubato la vita vera e al suo posto, come un’elemosina, non ci avesse lasciato una vita a metà,  senza abbracci e senza sorrisi, saremmo a  migliaia a Piazza Politeama per festeggiare il ritorno del Palermo nel calcio che conta. 

Oggi, 3 maggio, a Troina avremmo sigillato anche con i numeri la vittoria del campionato più “strano” mai disputato dal Palermo nei suoi centoventi anni di storia.

Probabilmente la serie C arriverà lo stesso ma vuoi mettere conquistarla sul campo, anziché a tavolino? Sul campo si vincono le battaglie e più aspre sono, più sono combattute e sofferte, più si impazzisce di felicità, alla fine. 

Ecco, se c’è una cosa che mai potrò perdonare alla pandemia del coronovirus è aver derubato  un tifoso come me, giunto al declino dei suoi giorni, della gioia totale di una festa di popolo nella piazza più bella della sua città per la promozione della sua squadra del cuore.  L’amore per la quale da settant’anni gli tiene compagnia, lo conforta nei giorni tristi e lo rinvigorisce di energie sempre nuove nei giorni belli, quelli della vittoria, quelli del riscatto. Perché vincere dopo essere caduti così in  basso che più in basso non si può, è come rinascere; è come ritrovare l’aria pura e respirarla a pieni polmoni dopo aver rischiato di morire soffocati. 

La scorsa estate non ci eravamo più, del Palermo non era rimasto più nulla, se non la vergogna del fallimento e della retrocessione  in serie D: un altro pianeta, un altro sport. 

I tifosi ( e non solo loro) barbaramente traditi da personaggi improbabili che di volta in  volta si presentavano  e si auto proclamavano salvatori della patria, per poi svelarsi per quello che erano: dei bluffatori di strapazzo che neanche al peggior tavolo da poker della terra potevano sperare di vincere qualcosa.  

Ebbene, le loro manfrine hanno trovato terreno fertile perché la piazza smaniava di calcio negato e, quindi, era disposta a credere a tutto, anche ai peggiori cialtroni, purché disponessero di faccia da culo e sapessero raccontare favole con la sicumera con cui il professore di matematica spiega il teorema di Pitagora.  

Farsi beffe della credulità (leggi passione) altrui, nel diritto penale si chiama truffa aggravata, un reato spregevole, tipico di chi non ha un barlume non solo di dignità ma neanche di coscienza:  ed è il reato che è stato consumato l’estate scorsa ai nostri danni. Di noi poveri e inermi tifosi, così innamorati della nostra squadra che, se arriva uno e dice: “Il Palermo non  ce la può fare!”, lo mandiamo al diavolo, ma se invece arriva un altro e proclama che “Siamo forti, fortissimi e vinceremo tutto!”, ebbene, come se non aspettassimo che lui, gli crediamo a occhi chiusi… Sì, chiusi.  Perché chiusi li tiene il tifoso vero, perché ad occhi chiusi si sogna meglio, perché ad occhi chiusi si sogna solo quello che sia ama  e tutto il resto, realtà compresa, che vada al diavolo.

Oggi, 3 maggio, alle “cinqo de la tarde”, avremmo dovuto ritrovarci tutti in Piazza Politeama. 

Anche io ci sarei andato, anche a piedi, anche con la mascherina,  anche se il “liberi tutti “ (o quasi) scatta solo domani: gli acciacchi, sempre più incattiviti e sempre più flebili le forze, si sarebbero dovuti arrendere perché non c’è malanno al mondo che non si inchini ad un cuore che esulta di felicità e orgoglio rosanero.

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