I conti del calcio e la realtà del Paese

L’articolo di Alessandro Barbano sul Corriere dello Sport, oggi in edicola, sottolinea l’ambiguità del pianeta calcio che nonostante un momento di delicata emergenza, sembra continuare a navigare altrove.
Si pensa di stoppare ogni attività sportiva all’aperto, si urla da più parti di restare a casa ed il mondo del calcio convoca medici, preparatori per fare sedute differenziate e i presidenti litigano su quando riprendere gli allenamenti.

Il calcio continua a vivere sospeso in aria, Se atterrasse, vedrebbe che accade sulla pista dell’aeroporto di Bari, dove due medici tentano invano di rianimare un paziente in arresto cardiaco, appena trasferito da Bergamo e diretto al Policlinico pugliese. Avete ben compreso, il virus ha capovolto il Paese, e la sanità lombarda è costretta a chiedere aiuto agli ospedali del Sud, scrive Barbano.
Lecito discutere su allenamenti o calendario ma a patto che lo si faccia calandosi nella realtà dei lutti che colpiscono a centinaia l’Italia, di un popolo stremato dalle privazioni e dall’emergenza in attesa di un picco che non sembra arrivare mai.

Il calcio sa che non concludendo i campionati si perdono 750 milioni e che chiedere un taglio agli stipendi dei calciatori è legittimo quanto poco praticabile. Se i campionati si dovessero concludere in estate, serve un patto tra società e calciatori. Prolungare i contratti senza tagliare gli stipendi, una stagione di 15 mesi pagata per dodici ed un prossimo torneo di nove mesi pagato per dodici: rispettando ingaggi e diritti tv.
Dalle grandi crisi si può uscire più forti di prima, se si ha il senso della realtà e lo sguardo lungo. Non con i sotterfugi, o tentando di speculare sull’economia di guerra che l’emergenza ha innescato. Perché dalla stessa emergenza si finirebbe travolti, scrive Barbano in conclusione di articolo.
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