Il Palermo è predisposto alla sofferenza. E soltanto stringendo i denti, probabilmente, potrà continuare a vincere da qui sino a fine campionato. Ce lo si augura per il bene della classifica, ma non si chieda oltre, non si pretenda, come fatto da mister Pergolizzi settimana scorsa, la ricerca smodata del 2-0, il baricentro alto, la costruzione di interessanti trame di gioco: la squadra non ha più la forza d’urto necessaria per attaccare con insistenza e per rinchiudere l’avversario di turno nella sua metà campo, come si vedeva fare un tempo quantomeno al Barbera. Si speri tutt’al più nel “golletto”, e poco importa ormai che venga fuori dalla bravura del singolo, o da una dormita della difesa avversaria, oppure ancora da qualche svista arbitrale come probabilmente avvenuto ieri pomeriggio.

Perché, lo si dica chiaro e tondo, un contatto del tipo Sforzini-Marone del minuto 35 lo si vede sanzionare nove volte su dieci, ma il direttore di gara ha stavolta preferito lasciar correre, reputando non significativo il tocco sul fianco da parte del numero 9, tra l’altro poi andato a segno.

Trentacinque minuti di vuoto: un’accelerazione di Floriano, un cross basso dalla sinistra, poi nulla. Per oltre due terzi della prima frazione di gara, il Palermo si è limitato a vedere palleggiare uno spigliato Messina che, tra le verticalizzazioni per Bevis, le giocate di Coria e gli scatti funambolici di Dambros ha inanellato una serie di palle-gol poi mal sfruttate. In tutto questo, dov’era il Palermo capolista? Perché, altro quesito, in un momento chiave del campionato, Pergolizzi si è trovato costretto a schierare 4 centrali di ruolo, di cui due sulle fasce? Queste le domande da porre ad una società, partita forte in sede di mercato con gli innesti di Silipo e Floriano, ma poi cullatasi forse sulla possibilità di adattare i suoi singoli uomini in più reparti.

Eppure, Crivello non è più un terzino di spinta, Accardi invece non lo è mai stato. Ed anche per questa incapacità dei suoi esterni bassi di farsi vedere in avanti, il Palermo non ha mai impensierito la retroguardia del Messina sin quando ci si è trovati in una situazione di equilibrio. Il Palermo non costruiva, non aveva idee, nessuno sapeva dove e come muoversi. Kraja appariva ancora disorientato (così da inizio 2020), Martin era poco lucido, forse perché una volta alzata la testa non trovava nessuno disponibile alla ricezione del passaggio.

Poi, lo si sa bene, il vantaggio dà una mano: il Messina ha tolto un difensore per una punta di ruolo nel tentativo di agguantare il pareggio, dovendo pur concedere qualche spazio in più ai contropiedisti rosa. Ma ha fatto così il gioco del Palermo, che sa difendersi e soffrire perché ha difensori esperti come Lancini e Crivello, cattivi e concreti come il 2001 Peretti. Ma lì davanti? Si contano qualche spunto di Langella, in stato di grazia da alcune giornate, e i tanti palloni “ammorbiditi” da Sforzini per le ali d’attacco. Allora qualcos’altro, ancora, non torna: constatate pure le defezioni di ieri pomeriggio sulle corsie di destra e sinistra, alibi al non gioco proposto dal mister, può una squadra che punta alla promozione accontentarsi degli spioventi dalle retrovie, quindi limitarsi alla precisione del buon Lancini?

Floriano di certo non aveva l’argento vivo in corpo e lo stesso Felici altro non faceva che girovagare da destra a sinistra per farsi dare il pallone e, quando lo aveva, per liberarsene. Ma per i due, lo si consideri pure, non è semplice avere 1-2 uomini puntualmente addosso, dovuti al fatto che costituiscono le vere uniche frecce per rendere imprevedibile una manovra d’attacco costantemente priva di verve. Avrebbero bisogno di spazi per andare al dribbling, spazi che dovrebbero essere aperti, manco a dirlo, dai terzini con le sovrapposizioni: di queste neanche l’ombra, com’era d’altronde plausibile date le caratteristiche di Crivello e Accardi, atti ambedue al contenimento piuttosto che alla spinta.

Il 2-0 finale potrebbe ingannare chi non ha visto la gara o chi non l’ha attentamente studiata: d’altronde, si potrebbe parlare (e sicuramente si parlerà!) di un Palermo cinico, capace di pungere nel momento giusto e di tirarsi all’indietro quando necessario. Ma si sarebbe poco veritieri: il Palermo ha subito per quasi un tempo, poiché stordito dalla gestione della sfera di un Messina apparso più in salute. Nel secondo, ha invece controllato sì con più ordine e raziocinio, ma senza mai convincere se non per l’ultimo quarto d’ora, quando gli inserimenti di Silipo e Ficarrotta hanno dato freschezza alle ripartenze rosanero, concesse da un avversario che doveva giocoforza slanciarsi all’attacco e prestare il fianco. Così è nato il raddoppio, ovverosia da un contropiede ben gestito palla al piede da Ficarrotta.

Indubbiamente, il Palermo ha i migliori singoli del campionato, reparto per reparto. E questa è la sua maggiore fortuna: perché qualsiasi altra squadra del girone, giocando quel primo tempo, si sarebbe ritrovata sotto nel punteggio e non avrebbe avuto la cattiveria richiesta per capitalizzare le poche palle-gol che sono ieri capitate al Palermo. Sono dunque tanti i problemi e tante volte questi li ha coperti la classifica. Ma per adesso, sembrerà ora un paradosso dopo questo sproloquio, va pure bene così: per i cambiamenti serve tempo, tempo che il Palermo non ha, ed è troppo alta la posta per rinunciare alla C a patto di vedere già da quest’anno un calcio più godibile. Ma prima o poi arriverà il momento in cui si dovrà dare una svolta: la carretta la si può ancora tirare avanti, ma prima o poi si fermerà e si dovrà cambiare motore.

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