Forse la tecnologia ha preso il sopravvento su ogni aspetto della vita, portando con sé aspetti positivi, ma come ogni novità, anche alcuni negativi. Ci sono delle favole, tuttavia, che non possono essere raccontate attraverso un computer o fili elettronici, perché forse non sarebbe proprio rispettoso; sarebbe una scelta anticonformista. Se dovessi parlare di mio nonno, non lo farei attraverso un computer, lo farei su carta, togliendo inchiostro alla mia penna, per rispettare il suo tempo; il ”classicismo” e la canonicità, a volte, sono l’unica strada percorribile. Oggi vogliamo raccontare la storia di Alvaro Biagini, ottantunenne lo scorso 1 ottobre;  colui che dalla Sicilia fu ”adottato” e accolto con tenerezza di madre, colui che dal nord, sentì una voce che lo spinse a scendere giù fino al ”piede” della nostra penisola. Qui, vi lasciò il segno. Inizió la sua carriera da calciatore, collezionando oltre 200 presenze divise tra colori rosanero e quelli rossoblu del Catania; anche da allenatore riuscì a lasciare il segno, riportando l’Akragas in serie C dopo 13 anni e il Canicattì, dopo addirittura 43. Un uomo di sport, quello che piace a noi, un uomo con tanti valori nel cuore, ma solo uno davvero primordiale: la famiglia: «”Se non fosse stato per mia moglie Erminia difficilmente avrei potuto fare la carriera che ho fatto. Lei è stata maestra di scuola, abbiamo avuto due figli, Claudio che si è laureato in lingue e fa la guida turistica, Alessandro laureato in Scienze politiche, che lavora a Roma”. Citazioni, queste che ci fanno riflettere: il calciatore era prima criticato, era visto come un vagabondo e proprio quello familiare, era un aspetto che poteva cambiare il giudizio critico a proprio favore; adesso tutto è diverso, l’esaltazione eroica del proprio idolo regna sovrana. Dal Nord al sud è un attimo e infatti, dopo avere indossato la maglia della lucchese in serie A e quella dell’Atalanta – con la quale collezionò soltanto 4 presenze – decise di andare giù, in Sicilia. Palermo lo accolse, con entusiasmo, quello che forse venne meno nella sua anima, almeno all’inizio: « …decisero di cedermi al Palermo, nonostante fossi uno dei più promettenti. Per come la presi, pensai che fosse la rovina. Ai tempi ero nell’orbita della Nazionale primavera, quando sono arrivato a Palermo non c’era niente. Si dormiva allo stadio nelle brandine, i bagni erano quelli alla turca dove andavano i tifosi» queste le prime irrazionali riflessioni, poi gli elogi, anche perché dall 1955 al 1959, possiamo dire che Alvaro Biagini, con quell’8 sulla schiena e con le 3 reti segnate, si consacró come calciatore. Se stiamo raccontando questa meravigliosa storia, lo dobbiamo a Luigi Maniscalco, il quale decide di inviare una lettera di carta alla direzione del Giornale di Sicilia; oggi grazie ad un ”pezzo di carta” stiamo estrapolando la storia, che riemerge canonicamente. Non fu di certo rose e fiori la sua esperienza in terra sicula, sopratutto l’organizzazione era diversa rispetto alle società del Nord: “Una delle differenze più grandi – riflette Biagini – tra il calcio del Nord e quello del Sud, ai tempi, era l’organizzazione delle società. Lì si lavorava inderogabilmente dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. Qui i problemi hanno sempre fatto posticipare tutto. Ci si trascinava in discussioni fino a tardi, fino alle 22″. Siamo ai titoli di coda, di un viaggio che ci ha emozionato; prima di lasciarvi chiediamo scusa, perché anche noi avremmo voluto scrivere questa meravigliosa storia su un foglio di carta, così come avrebbe voluto la ”prassi”, ma siamo figli dei nostri tempi, e con rammarico, in questo caso, ci tocca seguire la ”dottrina” nostra. 

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