Coronavirus e inquinamento: il collegamento tra questi potrebbe essere più vicino di quanto pensato finora. A confermarlo è la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), in uno studio pubblicato quest’oggi in seguito ad una ricerca congiunta con diverse università italiane.

A riportare la notizia è l’agenzia di stampa Agi, che riporta le parole dei coordinatori della ricerca, ovvero il Dottor Miani, De Gennaro e Setti.

Una scoperta che potrebbe essere usata dalle autorità competenti per chiudere preventivamente le zone in cui la presenza di RNA virale del Covid-19 nel particolato atmosferico è particolarmente alta, in modo da evitare nuovi contagi per tutta la penisola e le isole.

“Questa prima prova apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia”, afferma il professor Alessandro Miani, presidente della Sima.

“Possiamo confermare di aver ragionevolmente dimostrato la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico rilevando la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele”, precisa Leonardo Setti.

Per il Dottor De Gennaro “questa è la prima prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente, suggerendo così che, in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus SARS-CoV-2 possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali. L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti”.

Questo studio potrebbe aprire la via a nuove ipotesi sul contagio da Coronavirus attraverso l’atmosfera, che però ancora sono tutte da confermare.

Infatti tende a precisare De Gennaro che “la prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio”.

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