Mancini Arabia

L’Italia del calcio torna a fare i conti con la vergogna e con l’amarezza. Ci si richiede cosa sia andato storto e cosa non va in questo sistema, che in 5 anni, tirando le somme, sembra non esser progredito. Nel 2017 raccoglievamo le ceneri di una squadra vuota e senza anima, consegnandola a Roberto Mancini, che sembrava aver fatto cambiare il vento definitivamente. L’Europeo vinto, ci aveva convito del definito cambiamento: un mese da sogno dove tutto è andato bene. Quella vittoria, per un’estate, aveva coperto tutti i problemi gestionali e tecnici che ci portavamo dietro da molto tempo. Poi, però, è successo quello che già nel post 2006 era accaduto: ci fermiamo ricordando una vittoria e non progrediamo per migliorare mantenere il livello.

Dalla Svezia alla Macedonia, da Ventura a Mancini, i volti cambiano, ma i problemi dell’Italia, quelli profondi restano e peggiorano. Al Ct va sicuramente riconosciuto il merito di aver portato un cambiamento, soprattutto nel gioco. Ed è giusto riconoscergli i grandi meriti della splendida cavalcata europea di questa estate. Tuttavia, un detto recita: “Non si vive di vittorie eterne”, ma questo è proprio quello che è successo da settembre in poi.

Le tappe del fallimento dell’Italia

L’allarme, anche se quasi impercettibile, era stato lanciato già nella partita contro la Bulgaria. Mancini in quella partita schiera una formazione che per 10/11 era la stessa che si era giocata la finalissima contro l’Inghilterra. Qui è stato compiuto il primo errore! Ragionando a mente fredda, come si può pensare che la stessa formazione, che aveva dato l’anima in finale, potesse affrontare la piccola Bulgaria, con la stessa grinta e motivazione? Così, quello che sembrava un piccolo incidente di percorso si acuisce nel doppio confronto contro la Svizzera. La tempesta stava arrivando e i due rigori sbagliati da Jorginho ne erano la prova. Arriva l’Irlanda del Nord e i passi falsi si trasformano in problemi. L’attacco non segna e Mancini sembra non considerare altre soluzioni.

L’unico sprazzo di vita, però c’è, anche se è una partita che pochi ricordano: Italia-Lituania del settembre 2021. In quell’occasione Mancini schiera le “seconde linee”, dando spazio a quei giocatori, per la maggior parte giovani, che hanno avuto poco minutaggio. Il risultato è 5-0 con le prestazioni di Kean e Raspadori che spiccano su tutti. In quel momento lì il pensiero comune è stato: “è solo la Lituania”, ma col senno di poi, oggi è lecito pensare che la formazione schierata ieri sera avrebbe fatto fatica anche in quel match.

Si arriva così allo spareggio, consapevoli di avere tutto da perdere. I mesi che hanno preceduto la partita, avrebbero dovuto permettere al Ct di riflettere su chi potesse realmente meritare il posto in attacco. Qui, Mancini commette il secondo sbaglio! Ci si affida ancora ad Immobile, che dopo ieri sera avrà capito che la nazionale non fa per lui. Ciò che però fa storcere il naso è la formazione: scelte più per riconoscenza che per merito. E qui cambi tardivi, come quello di Joao Pedro, fatti senza una logica precisa. Il fischio finale decreta, l’ennesimo fallimento e l’amarezza di non giocare per due edizioni di fila un mondiale.

E dopo i tanti meriti e gli elogi, anche per il Ct dell’Italia è tempo di accettare le critiche. Ciò che gli si imputa, guardando indietro, è stato l’aver deciso di non cambiare l’ossatura del gruppo, dando magari un’opportunità concreta a qualche giovane in rampa di lancio. Mancini si è affidato a giocatori, la cui maggior parte di loro, con il successo di Euro 2020 hanno raggiunto il massimo obbiettivo della loro carriera. Per alcuni, molto probabilmente, è stato anche l’unico trofeo importante vinto nella loro vita. Quello in cui Mancini ha deluso è stato non continuare con il suo progetto di inserimento di nuovi giocatori, che all’inizio era stato il mantra del suo mandato. Lo sbaglio più grande però, è arrivato ieri, con una formazione sbagliata, con cambi tardivi e con poche soluzioni di gioco.

Le colpe di Gravina e il sistema da rifondare

Dopo la fine del match, come consueta cultura italiana, invece di prendersi le colpe, inizia quel fastidioso “gioco” dello scaricare le responsabilità a terze parti. Alcuni si svegliano da un sonno perpetuo dicendo che il sistema calcio italiano va rifondato. Certo che va rifondato, ma andava fatto dopo la vittoria del mondiale del 2006! E in tutto ciò, c’è un’altra figura che forse deve fare due valutazioni sul suo operato: Giuseppe Gravina. Il presidente della FIGC dall’inizio del suo mandato è stato promotore di riforme, che fino ad ora, non sono mai state attuate. Si parla di rifondazione dei campionati, di nuovi format, di attenzione verso le piccole realtà, ma poi tutto si scioglie come neve al sole. Si è spinto sul migliorare le infrastrutture, sul cercare di aumentare l’appeal del nostro calcio, senza però accorgersi che bisognava partire dalla materia prima: il calcio giocato.

L’immagine del fallimento del calcio in Italia sono i tanti giovani in panchina o in prestito a “farsi le ossa” nelle serie minori. Nessuno prova a dare fiducia e quando lo si fa, si danno sentenze affrettate che incidono sulle carriere. I grandi club italiani, preferiscono puntare su giocatori esperti e pronti, anziché dare fiducia a un prodotto del proprio vivaio. Si cerca sempre il colpo di mercato spendendo cifre esorbitanti e non si guarda a ciò che si ha già. E così i vari Scamacca, Frattesi, Fagioli, Lucca, Moro e tanti altri sono costretti a giocare in categorie minori o in club di seconda fascia, perché nessuno prova a dargli l’opportunità e li responsabilizza. Eppure basta alzare un po’ la testa e guardare squadre come la Spagna, che dà la possibilità a due come Gavi (2004) e Pedri (2002) di giocare partite anche complicate, facendoli crescere e migliorare.

E adesso che è tutto finito, toccherà nuovamente rimboccarsi le maniche e seguire una strada giusta, che non porti solo alla conquista di trofei, ma al cambiamento culturale di un intero sistema!

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