Perinetti: “A Palermo ho creato la mia famiglia. Athletic? Mi piace il loro spirito”
In vista di Roma–Genoa, nell’edizione odierna de Il Secolo XIX è presente un’intervista a Giorgio Perinetti, ex dirigente di entrambe le società, attualmente in forza all’Athletic Club Palermo. Ecco le sue parole.
Le parole di Perinetti
Sul libro che ha scritto sul lutto che ha colpito la sua famiglia dopo la morte della figlia Emanuela: “Il libro ha un contenuto forte, intenso, coraggioso. L’ho voluto così, nudo e crudo. Non volevo fare commenti, solo raccontare un’esperienza tragica, per come l’ho vissuta. Un padre che si trova smarrito, inadeguato, incapace di trovare soluzioni davanti a una malattia spesso coperta da un muro di silenzio. Con Emanuela ho sempre parlato tanto, ci univa la passione per il calcio. E invece improvvisamente si è inventata di avere un tumore. Quando ho capito la verità diceva “Papà, è tutto sotto controllo”. Le risposte però non le vedevo neanche la pelle sulle ossa. Il paradosso è che tua figlia è maggiore e rifiuta le cure, in quel momento l’unica via, il solo modo per obbligarla a curarsi. Poi quando lei parla ha capito che aveva perso il controllo e il corpo era troppo compromesso, non ce l’ha fatta. E di nuovo, non ho potuto aiutarla”.
Cosa gli ha dato forza per reagire: “Prima di tutto mia figlia Chiara, poi la passione per il calcio. Stare insieme ai giovani, aiutarli nel loro percorso e tirargli qualche volta le orecchie. Nel mio studio c’erano due foto, mamma Maria e la rovesciata di Pelé. Emanuela guardava e restava incantata, da una parte la nonna cucinava, dall’altra il mio mito calcistico. Il calcio ha scandito i tempi della mia vita ma ormai bisogna accettare quello di oggi, un business in cui non mi riconosco”.
Su Roma-Genoa e il ritorno di DDR contro i giallorossi
Su Roma e Genoa: “Da romano che ha lavorato 19 anni nella Roma so cosa vuol dire difendere quei colori: la curva, lo stadio, ti restano tutto dentro per sempre. Poi ho avuto la fortuna di lavorare a Napoli, altra città che il calcio lo vive come una religione. Quando anni dopo ero a Venezia, nel 2017, è spuntata la chance rossoblù e io sognavo di poter dire “lavoro per il Genoa”. Perché come per Roma e Napoli, il Genoa non è solo una squadra ma una vera e propria fede”.
Su De Rossi: “Daniele ha tante conoscenze, il calcio lo capisce, lo conosce, lo sente e il suo modo di interpretarlo con personalità e senza compromessi mi piace. Da subentrato è meno facile, puoi modellare meno la squadra, ma è partito bene. Il modo in cui ha aiutato a rinascere Colombo, giocatore che ho sempre ritenuto valido, è emblematico. Si vede che cura al meglio i dettagli”.
Sulla nuova avventura a Palermo
Sulla nuova avventura all’Athletic Club: “Il club ha 11 giovani soci che sono saliti sin dalla Seconda Categoria. Hanno 470 bambini della scuola calcio: il loro spirito mi piace e sono contento di dargli una mano. Poi c’è la città, Palermo. Per me è molto significativa, è la mia quarta volta qui. Sono romano ma ero figlio unico, mia madre lavorava e mio padre era assente. La mia prima famiglia è stata quella che ho creato a Palermo e ho sposato mia moglie nella Cappella Palatina, lì sono cresciute le mie bimbe. Mi rievoca momenti dolorosi e gioiosi. Qui la gente ha un senso spiccato della famiglia: barbiere, barista, ristoratore, sono sempre gli stessi e mi fanno sentire meno solo”.
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