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Multiproprietà, croce e delizia del calcio. UEFA e FIFA corrono ai ripari

Palermo-Manchester City highlights


Multiproprietà, croce e delizia del calcio. UEFA e FIFA corrono ai ripari

L’ultimo caso quello del Crystal Palace

Questo il titolo de Il Giornale, oggi in edicola.

L’articolo di Francesco Bertoli tratta del fenomeno delle multiproprietà nel calcio, ormai una realtà consolidata: 225 club coinvolti in 15 Paesi, con 12 di proprietà statunitense tra Serie A e B. Tra i protagonisti principali c’è il City Football Group, colosso da 6,8 miliardi di euro che controlla squadre in tutto il mondo, dal Manchester City a club in America, Asia e Oceania.

Multiproprietà, croce e delizia del calcio. UEFA e FIFA corrono ai ripari

Il modello si fonda sulla sinergia tra società: condivisione di know-how tecnico, strategie di mercato comuni, maggiore forza contrattuale, incremento del merchandising e diversificazione degli investimenti. In un contesto globale, possedere più club significa anche entrare in economie di vari Paesi, ammortizzando i rischi e massimizzando la crescita.

Tuttavia, i rischi non mancano. C’è il pericolo di conflitti di interesse e di perdita di identità storica dei club, soprattutto quando marchi e colori vengono uniformati, come avvenuto con il gruppo Red Bull. Ancora più delicato è il rispetto delle norme UEFA, che vietano a due squadre con lo stesso proprietario di partecipare alla stessa competizione europea.

Il caso Crystal Palace

Il caso più recente riguarda il Crystal Palace, “retrocesso” dall’Europa League alla Conference League per lasciare spazio al Lione, appartenente allo stesso gruppo. Una decisione che riporta alla memoria situazioni simili, come Red Bull Salisburgo e Lipsia o Girona e Manchester City.

UEFA e FIFA stanno cercando di arginare il fenomeno, ma le grandi proprietà dispongono di risorse e strumenti per aggirare i regolamenti. La tendenza è chiara: le multiproprietà si stanno trasformando da eccezione a regola, ridefinendo il panorama calcistico mondiale.

Il futuro potrebbe portare a nuove norme più stringenti, ma resta il dubbio se queste riusciranno davvero a frenare un modello che, tra benefici economici e pericoli sportivi, appare sempre più radicato e difficile da scalfire.

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