Le frasi shock di Vittorio Feltri hanno riempito per giorni interi giornali e social. Il razzismo, soprattutto nel Nord Italia, è una piaga ancora lontana dall’essere sconfitta; anche in questo periodo drammatico e difficile che vede il Paese intero combattere contro un nemico comune: il Coronavirus.

Abbiamo chiesto al palermitano Marco Porcelli, che da diversi anni vive a Verona, se nella bella città scaligera esistono ancora oggi episodi di razzismo:
“Vivo a Verona da quasi 6 anni e lavoro per una grande azienda di ottica molto nota a livello nazionale. Dal punto di visto calcistico c’è grande rivalità, ma nella vita reale io e la mia famiglia non abbiamo mai avuto problemi in termini di accoglienza ed accettazione. E’ vero che il veronese generalmente è molto diffidente verso i meridionali, ma io non ho avuti episodi eclatanti sui quali recriminare. Credo che sia un retaggio che ci portiamo dietro da tempo. Non perché non siano più razzisti, probabilmente perché sono cambiati i loro target. Hanno spostato il mirino su altri nemici ed il diverso che fa paura non è più il meridionale, ma l’immigrato.”

Come è stata affrontata l’emergenza Coronavirus in Veneto?
“Sin da subito la Regione si è attivata con una serie di protocolli per mettere in sicurezza i cittadini. Uno dei primi focolai è scoppiato a Vo’, in provincia di Padova, e Verona è la provincia con il più alto numero di contagiati. Ad inizio della pandemia, si sono concentrati a rendere disponibili il maggior numero di posti letto in ospedale. La sanità in Veneto funziona in maniera ottimale e personalmente mi sono trovato sempre bene. La città ha comunque risposto positivamente alle restrizioni nazionali e regionali.”

Che ripercussioni ci sono state nella tua attività professionale?
“Pur lavorando in un comparto che rientra fra le attività di prima necessità, nel mio caso specifico lavorando all’interno di un centro commerciale il negozio si è dovuto chiudere. Dal 12 marzo sono a casa, non sono in cassa integrazione, perché sto fruendo delle tante ore di recupero accumulate negli anni scorsi. Ma quando questo cassetto finirà, anche io entrerò in cassa integrazione. Ancora, infatti, non sappiamo quando si potrà tornare al lavoro.”

Come stai vivendo questa quarantena forzata?
“Con mia moglie ci siamo organizzati in modo da uscire solo per acquistare i beni di prima necessità. Lei è un libero professionista e rientra nella categoria delle partite Iva. Ha richiesto il bonus che, fortunatamente, è arrivato abbastanza velocemente. Abbiamo un bambino di quasi 9 mesi ed in questo lungo periodo di isolamento abbiamo riscoperto il ruolo centrale della famiglia. Questa situazione drastica ci sta facendo ricoprire quei valori familiari che la vita frenetica di prima non ci consentiva di vivere pienamente. Per esigenze lavorative a volte non ci si vedeva neanche. Invece questo isolamento ci ha dato la possibilità di poter accudire pienamente un neonato con tutte le sue esigenze. Penso che questa emergenza cambierà i modi di vivere di tutti. All’interno di ogni casa si penserà di più a vivere meglio la famiglia, piuttosto che pensare solo al lavoro ed alla carriera.”

C’è qualcosa di sospeso che farai appena si potrà tornare di nuovo tutti liberi?
“Appena la pandemia cesserà il mio primo obiettivo è quello di far battezzare mio figlio. Non è stato possibile a causa dell’emergenza Coronavirus, ma non vedo l’ora di dare questo sacramento al mio bambino. Il virus continuerà a circolare chissà per quanto tempo, dobbiamo stare attenti. Spero che le persone non si ammalino più. Mi auguro che l’Italia possa ripartire ad una velocità supersonica e che tutti noi possiamo riprendere al più presto il nostro cammino interrotto.”
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