di Benvenuto Caminiti

“Dopo sei mesi me ne volevo andare…”.

Comincia così l’intervista al “Get French Football news” di Haitam Aleesami, classe 1991, norvegese di origine marocchina, al Palermo dal 2016 al 2019.

E poi, così prosegue: “Non era per niente professionale quanto stava accadendo: 4-5 direttori sportivi, cinque allenatori e cinque staff diversi… In pratica noi giocatori non abbiamo mai fatto gruppo … Come dire, non siamo mai stati una squadra vera”. 

E finisce peggio: “Non faccio nomi ma tanti miei compagni fumavano. Prima della partita e perfino nell’intervallo!”.  (Un vero scandalo! , ndr.). E, per chiudere, un’ultima “carezza”, stavolta all’ex patron Zamparini: “Gli chiedevo di cedermi ma lui mi rispondeva che il Palermo per andare in serie A non poteva fare a meno di me!”.  

(Sì, ci credo!… Novanta partite, 1 gol!, ndr).

Sono indignato, non tanto per l’asprezza delle dichiarazioni, quanto per averle rese solo a posteriori perché – e me  lo ricordo benissimo – durante il campionato, l’ultimo quello dello sfacelo definitivo, ogni volta che un cronista lo intervistava lui pronunciava solo parole al miele, tipo: “Qui mi sento a casa mia… I tifosi mi hanno adottato come uno di loro… noi siamo un gruppo affiatato… Ce la faremo a vincere il campionato!”. … E menate simili. 

Nove mesi dopo essersi liberatosi del “giogo rosanero, invece spara a zero contro il Palermo facendo la figura di chi sputa nel piatto dove ha (abbondantemente) mangiato. 

Scorretto non solo nella sostanza ma anche nella forma: le avesse anche solo fatte intuire queste sue “strane” opinioni mentre ancora indossava la maglia rosanero avrebbe dimostrato almeno coerenza e lealtà professionale ed umana. Invece, lo ha fatto solo dopo nove mesi, ovvero dopo aver raggiunto la cosiddetta distanza di sicurezza. Ha sparato nel mucchio, senza rispetto per la società, i compagnie e i tifosi…  E la città che lo ha ospitato (e “nutrito”) per ben tre anni.

Tre stagioni senza lasciare traccia, se non il ricordo di quel suo gioco… a ritroso, tic-toc col compagno più vicino, mai un affondo e, dato il ruolo, quasi mai un cross decente, quasi mai un assist: troppo poco per il lauto ingaggio che puntualmente ogni mese percepiva. 

Insomma  pessimo gusto e totale mancanza di stile e di coraggio (“ Non voglio fare nomi ma molti compagni fumavano…” ).

Insomma, Haitam Aleesami nella vita come in campo: senza mai uno slancio di ardimento.

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